Canale di Panama bis
Costerà 40 miliardi di dollari ma ha una valenza strategica enorme per l’espansione del Drago
HONG KONG – Gli accordi sono con una grande società dell’ex enclave inglese, ma tutti giurano che dietro ci sia la mano del governo cinese.
[hidepost]Gli accordi sembrano voler stravolgere la geo-politica mondiale: si parla infatti di costruire nei prossimi dieci anni un canale in Nicaragua tra l’Atlantico e il Pacifico che faccia concorrenza a quello di Panama.
E’ una grande sfida e non solo tecnologica. Sul piano puramente tecnico infatti, costruire un canale in territorio nicaraguenze dovrebbe essere più facile e anche più veloce di quanto lo fu a Panama. I finanziamenti sarebbero anche in questo caso l’ultimo dei problemi: si parla di 40 miliardi di dollari Usa che la Cina sarebbe già pronta a mettere sul piatto. E che recupererebbe in pochi anni, strappando ovviamente molti clienti a Panama – dove i costi di transito sono diventati esorbitanti – ma specialmente dando il via a nuovi traffici con i paesi del sud America fuori dall’orbita Usa: paesi che oggi non possono o non vogliono utilizzare Panama.
Per la Cina, i risultati sarebbero duplici. Da una parte si assicurerebbe a costi molto ridotti il rifornimento delle materie prime dal sud America – fascia atlantica – mentre dall’altra aumenterebbe la propria influenza politico-economica sugli stessi paesi. Per il Nicaragua, un piccolo paese dalle ridotte risorse, sarebbe ovviamente la manna dal cielo: anche se pagata, probabilmente, con un impatto ambientale non certo da auspicare.
In termini più generali, l’iniziativa del nuovo canale conferma che il mondo dei trasporti e della logistica non si è certo fermato a leccarsi le ferite per la maxi-crisi degli ultimi cinque anni. Prima ancora che sia completamente superata la fase recessiva dell’economia mondiale – ma tutti gli osservatori sono concordi nel sostenere che siamo arrivati ormai agli sgoccioli e che una ripresa ci sarà fin dall’anno prossimo – il mondo si muove: con i maxi-merger delle compagnie dei containers (si sta parlando molto di quello tra Maersk, Msc e Cma-Cgm: ma nell’aria ci sono segnali di altri importanti joints, anche per difendersi dal primo annunciato). E c’è la consapevolezza che il commercio mondiale via mare sarà presto di nuovo in forte espansione, perché alla tradizionale lista dei paesi sviluppati e consumatori si stanno aggiungendo via via paesi nuovi e di grandi prospettive. Non per niente nel recente rapporto presentato a Roma da ICE – Prometeia nel Forum Leonardo, i mercati con il più alto tasso espansione sono oggi il Messico e l’Indonesia, seguiti da Arabia Saudita, Thailandia, Colombia, Emirati Arabi, Iran, Nigeria e Malaysia (da notare che nel nostro Mediterraneo è ancora in testa l’Egitto – malgrado le attuali tensioni – seguito da Libia. Marocco, Tunisia e Serbia: con pil e risorse ovviamente solo marginali rispetto alle ricchezze di Messico etc).
Un altro esempio, sempre legato ai numeri. Nel solo Brasile, che pure non figura tra i venticinque paesi a più alto tasso di interesse per l’export italiano, gli investimenti previsti con i prossimi piani di sviluppo valgono 121 miliardi di dollari Usa per la logistica, di cui circa 30 miliardi per i soli porti. A fronte dei 70 milioni di euro stanziati dal governo italiano per tutti i porti nazionali….
Antonio Fulvi
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