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Le divisioni corazzate della portualità

LIVORNO – Visto alla periferia dell’“impero dei porti” italiano (e ci sia passata l’ironia) il documento di Assoporti è pieno di buone intenzioni, ottimi suggerimenti e anche di sincera volontà di dare una mano al governo. Ma assomiglia purtroppo alle grida manzoniane di letteraria memoria: ovvero, la buona volontà e le buone intenzioni non sono supportate dalla forza sufficiente a farle accettare.
[hidepost]Ricorda la famosa battuta di Stalin a chi gli diceva, durante la guerra, di non forzare la mano contro i cattolici perché la Chiesa gli avrebbe creato dei guai. “Quante divisioni corazzate ha la Chiesa?” rispondeva lui con cinismo. Tradotto: quante divisioni corazzate ha oggi Assoporti per farsi ascoltare? Farsi ascoltare da un governo che già annaspa, purtroppo, tra richieste di dimissioni coatte, con lo stesso ministro Lupi impallinato per la vicenda di Olbia (una vicenda che rasenta l’assurdo, dopo il brutto precedente di Cagliari) e con tutta l’attenzione del paese focalizzata su ben altri problemi che lo sviluppo del sistema logistico portuale…
Sia chiaro: Assoporti ha il dovere di provarci: divisioni corazzate o fucili di latta con il tappo di sughero (dubbio: esistono sempre per i bambini d’oggi?) deve pressare alle costole il governo perché non dimentichi quello che nessuno deve dimenticare: che la porta dell’economia nazionale è costituita dai suoi porti, e che sul Mediterraneo gli altri paesi portuali non stanno certo ad aspettarci. Uno dei punti del documento che presentiamo in queste pagine riporta alla ribalta la vecchia, rinnovata richiesta – diventata ormai di drammatica urgenza – di una programmazione nazionale dei porti che ne indichi anche priorità e specializzazioni. Assoporti ha fatto bene a bussare con forza alla porta del governo con questa richiesta. Il problema è che dall’altra parte della porta sembra esserci il vuoto.
Salvo prova in contrario.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
8 Marzo 2014
Ultima modifica
11 Marzo 2014 - ora: 19:05

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