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Anche Bruno se n’è andato

LIVORNO – Forse i giovani, anche della Compagnia portuali, ricordano poco di lui: eppure Bruno Fontanelli, anzi “il dottore” come lo chiamavano un po’ tutti, è stato un pezzo importante della vita del porto e dell’intera città. Si è spento due giorni fa a 94 anni, portati con lucidità e autoironia quasi fino alla fine. Ha chiesto esequie strettamente private e che le sue ceneri fossero disperse – come è avvenuto – nel mare della Meloria.
[hidepost]Di Bruno Fontanelli le cronache livornesi hanno riportato molti ricordi ufficiali: direttore storico della Compagnia portuali con Italo Piccini e Gino Romano – che l’hanno preceduto di parecchi anni nell’Aldilà – partecipò alla Resistenza, fu iscritto al Pci, è stato a lungo animatore di importanti progetti per il porto. Quasi nessuno ha ricordato il suo privato: che è stato di un uomo pieno di passione per Livorno e per il mare, spesso non allineato sulle linee ufficiali del partito (e qualche volta anche in amichevole ma duro contraddittorio con lo stesso padre-padrone della Compagnia, Italo Piccini), capace di capitanare imprese che con i portuali avevano poco a che vedere, come lo straordinario tentativo di dare a Livorno un moderno “marina” alla Bellana (con una Spa che aveva il capitale principale proprio della Compagnia ed aveva affidato il progetto all’architetto Valter Martigli). Con quasi quarant’anni di anticipo, Bruno Fontanelli aveva capito il valore di un centro di appoggio e di servizio per la nautica da diporto e se n’era fatto entusiasta promotore, tanto da essere (o essersi) guadagnato la carica di presidente della stessa Spa. Con lui andammo in giro anche in Francia per presentare il grande progetto, allora davvero anticipatore. Non se ne fece di niente, con suo grande dolore, perché si misero di traverso non tanto il Pci livornese quanto il Psi con l’allora assessore Gianfranco Magonzi. Bruno si consolò facendosi costruire un grande gozzo cabinato – suo vanto fu che la coperta era ricavata dalle doghe di teak della demolizione della corazzata francese Richelieu – con il quale si ancorava regolarmente alla Meloria con la famiglia e gli amici, per pantagruetiche spaghettate ai ricci di mare.
La sua fede politica – ne parlavamo spesso, in territorio neutro com’era appunto la sua barca – e non si può dire proprio che fosse un comunista con tre narici. Aveva le sue idee, molto più vicine ai concetti di libero mercato di quanto lo fosse l’ortodossia, e si vantava in privato di avere un fratello colonnello (mi pare del corpo medico) nell’esercito Usa. In Compagnia era molto attento ai suoi compiti, ma sapeva ironizzare, e non nascondeva le sue idee quando non era in linea. E’ stato un livornese al cento per cento – viaggiava poco perché stava bene dove stava – ma con il cuore, l’anima e il cervello aperto al mondo. Mi sia consentito da queste colonne – che lui seguiva regolarmente, specie con le mie “Coffa di Maestra” – mandare un abbraccio alla moglie Leda, al figlio Fabio e a tutti i numerosi nipoti. Al funerale ho visto solo vecchi amici e qualche ex portuale. Non recrimino, ha voluto così. Ma un po’ mi ha fatto male.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
25 Maggio 2016

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