Un impianto e un esempio che conforta
LIVORNO – Possiamo usare due metri di giudizio per commentare l’importante subentro della Giorgio Gori alla Compagnia Portuali nel Reefer Terminal.
Il primo è in chiave positiva: per i portuali si conclude un travagliato periodo di leasing scoperti per un impianto che non è mai decollato: perché nato tardi, perché superato dalle tecnologie dei containers reefer, perché gravato da mutui diventati insopportabili. L’operazione ha un valore di una decina di milioni. Dice Enzo Raugei, presidente dei portuali: “L’intervento della Gori, con la quale stiamo già attivamente lavorando nel terminal da svariati mesi, conferma che anche nel porto di Livorno esistono realtà imprenditoriali aperte non solo al business, ma anche alla collaborazione fattiva per i lavoratori”. L’handling è rimasto ai portuali, che nella parte del Reefer passata alla Gori riempiono i contenitori con i cartoni di vino dedicati all’export, in buona parte per gli USA. Poi i container vanno in Darsena Toscana per l’imbarco. Non è una “rottura di carico”, come si usa dire: ma è un liberare i magazzini della Gori di Stagno di una parte delle merci, avvicinandole alle banchine. E chissà che non sia solo un primo, peraltro importante, passo in avanti.
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L’altro metro di giudizio riguarda la realtà dei portuali. Che sta faticosamente difendendo il lavoro, ormai cambiato radicalmente dai tempi d’oro di Italo Piccini & C. Bisogna anzi ricordare che la Compagnia di Livorno è tra le poche che sopravvive ancora con qualche importante gioiello di famiglia: come l’autoporto del Faldo, peraltro da anni in trattative di vendita perché anch’esso non più strategico. Fare impresa sulla logistica oggi è diventato affare finanziariamente duro, per l’ingresso spesso travolgente delle grandi multinazionali, che sono in grado di “schiacciare” le realtà locali come e quando vogliono. La Gori, che oggi fa parte della grande rete logistica DHL, ha dimostrato che si può intervenire anche in chiave positiva. Un bell’esempio, in tempi di tentativi, non sempre riusciti, di superare i “pollai”.
Antonio Fulvi
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