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Noli depressi, partiti i General Increase ma anche il 2016 appare un’incognita

Continua ad essere eccessiva l’offerta di stiva rispetto alla domanda – Il gigantismo navale e la crisi del trading – I riflessi sulla portualità italiana anche in vista della riforma

LONDRA – Se lo dicono loro, bisognerebbe prenderli sul serio. E non soltanto perché Maersk “congela” alcuni ordini di mega-portacontainers ed Evergreen cancella, con la CKYHE Alliance, un totale di 9 viaggi dell’attuale collegamento Asia-Nord Europa-Mediterraneo fino a dicembre.
[hidepost]Sono due episodi che rappresentano solo la punta dell’iceberg. E l’iceberg è quello che la società di analisi macro-economiche inglese Drewry indica per il 2016: noli nei containers ancora in caduta, andrà peggio del 2015 (che si sta chiudendo tra lacrime e sangue per gli armatori del comparto).
Drewry cita una cifra significativa: il volume dell’offerta di stiva nel 2015 è cresciuto del 7,7% mentre il volume del traffico containers è cresciuto solo del 2,2%. Lo squilibrio crescerà ulteriormente tra pochi mesi, perché arriveranno nuove mega-navi che se non saranno riempite genereranno pesanti perdite. E sempre secondo le analisi specialistiche, mentre sulla storica rotta dell’Atlantico i traffici sono in ripresa specie nell’export verso il Nord America ormai decisamente fuori dalla crisi, quelli sulla direttrici Asia-Europa faticano. Faticano tanto che, come era stato da più parti preannunciato, i noli Asia-Europa sono di colpo schizzati a 100 dollari a teu (nolo ufficiale: quelli reali sono spesso un altro discorso…) da una base di partenza che era arrivata sotto i 100 dollari (noli reali). E’ il risultato del GRI (General Rate Increase) di cui avevamo parlato anche sulla “Gazzetta” del 24 ottobre, che appare a molti una manovra disperata e di dubbio effetto, visto che non tutte le compagnie lo applicano con rigore e di fatto non c’è alcun obbligo di legge per farlo.

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Che succederà nei prossimi mesi sui mari del mondo? Non avendo la sfera di cristallo delle maghe, si può ipotizzare che le compagnie più esposte cercheranno le economie di scala con merger di cui già si parla – tra quelle cinesi di Stato le trattative sono già avviate – mentre si cercherà di ritardare l’entrata in linea delle mega-navi da 19 mila teu ed oltre che se viaggeranno semivuote saranno pesanti da sopportare. C’è anche da dire però che esiste una scuola di pensiero diversa da quella da tempo espressa dal professor Bologna (“Il crack che viene dal mare”) sui pericoli delle maxi-full-containers. Una scuola secondo la quale il processo del gigantismo navale può registrare qualche rallentamento e anche qualche frenata, ma fatalmente è destinato a condizionare i traffici del futuro, E a definire i porti – i pochi porti – che saranno in grado di accoglierle; considerando che il trade internazionale – la vera linfa vitale dell’economia del mondo – sarà in continua crescita anche grazie all’ingresso di paesi in via di sviluppo nel gioco del cargo marittimo. Il vero nodo rimane quello dei porti: non solo per le banchine e i fondali adatti ai futuri giganti, ma anche e specialmente nella parte a terra: ovvero possibilità di smaltire velocemente migliaia e migliaia di teu, meglio se per ferrovia, eliminando colli di bottiglia e utilizzando reti TEN-T davvero efficienti. Una scommessa nella grande scommessa mondiale.

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Va infine detto, in conclusione, che la rivoluzione delle mega-navi sta impegnando anche in Italia analisti e associazioni di categoria in tentativi di analisi concrete. Mercoledì 16 dicembre, tra poco meno di un mese, è in programma a Roma per iniziativa di Federagenti un importante workshop sul significativo tema “Il confine dei giganti”. Con alcune domande di base altrettanto significative: cosa accadrà in Italia? Quali e quanti porti saranno in grado di accogliere i giganti? Per quanto ancora aumenteranno le dimensioni delle portacontainers? E con un interrogativo di fondo che aggiungiamo noi: la prossima, auspicata riforma portuale, sarà davvero in grado di razionalizzare le tante (troppe) offerte di mega-porti con mega-fondali, concentrando le risorse pubbliche (e anche quelle private) in un network limitato e ragionevole di scali?
Antonio Fulvi

Pubblicato il
11 Novembre 2015

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