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IL PERSONAGGIO

L’importatore di vini pisani e senesi che ha affossato i superdazi di Trump

Storia molto americana (e un po' toscana) del piccolo imprenditore che si ribella all'uomo più potente del mondo

Victor Owen Schwartz, titolare della Vos Selections, piccola azienda specializzata nell’importazione di vini: è il protagonista della battaglia legale contro i superdazi di Trump

NEW YORK. Ha sede al 555 dell’8th Avenue, siamo a New York nel bel mezzo di Manhattan e nel raggio di trecento passi ci sono l’Empire State Building, Broadway, Times Square e il parchino definito «il più affollato spazio pubblico del mondo» che tutti pensano intitolato alla star del basket Kobe Bryant e invece omaggia un omonimo poeta ottocentesco. Insomma, non siamo nel profondo nulla di un paesucolo sperduto ma l’indirizzo di Vos Selections rimanda a un anonimo palazzo di 16 piani come qui ce ne sono mille: con il civico 555 che campeggia al centro del portone ad arco ma nessun altro vezzo estetico. Semplicemente, fra gli hamburger cinesi dello Xi’an, i massaggi thai, il centro di meditazione e la pizza dei “2Bros”.

Ecco Davide abita qui. In queste ore non c’è un cronista che non tiri fuori dal cilindro l’idea di Davide contro Golia: perché lui è un piccolo imprenditore che campa importando vino e ha vinto anche in appello la causa che ha intentato contro i dazi di Trump (“V.O.S. Selections, Inc. v. United States”, come si dice). Lui in realtà si chiama Victor Owen Schwartz e insieme alla figlia Chloe manda avanti una piccola realtà commerciale che si è sentita strangolata dai provvedimenti di Trump. Una impresa a conduzione familiare: la foto di gruppo insieme al team dei collaboratori sembra la foto della classe, in tutto non sono neanche una ventina. Se è dovunque il riferimento a Davide contro Golia, inutile dire che senza sforzarsi troppo in fantasia i giornali se lo immaginino a festeggiare la sua vittoria legale stappando una delle sue bottiglie più pregiate…

Victor Owen Schwartz durante l’intervista a M.J. Towler (“Black Wine Guy”) tre anni fa

Il Davide newyorkese strizza l’occhio alla Toscana

Davide, peraltro, è anche un po’ europeo: in  Europa ha vissuto lui per entrare in contatto con una galassia poco conosciuta di piccoli produttori indipendenti, idem la figlia prima di unirsi alla ditta di famiglia nel 2019. Adesso importa da 16 Paesi di tutti i continenti. Ma lo sguardo al mappamondo intero non è quello di una multinazionale del vino: al contrario, la gamma proposta al suo pubblico è fatta di attenzione alle peculiarità regionali: non è un caso che la selezione dei prodotti possa avvenire “flaggando” una specifica regione del globo, e fra queste c’è la Toscana. Con un bel campionario di vini, anzi di produttori specifici: i marchi di una antica tenuta di una abbazia millenaria nella zona di Terricciola (Pisa) o quelli di una fattoria del Chianti in territorio senese o sotto le insegne del Brunello di Montalcino. Del quasi mezzo migliaio di etichette di tutta la gamma a livello planetario, una cinquantina sono made in Italy, e di queste 11 sono le etichette toscane.

Per una singolare coincidenza, anche nell’ultima intervista alla Cnn si fa riprendere mentre è davanti alla sezione dei vini toscani di una parte della sua cantina.

«Non avrei mai pensato, quando ho fondato questa azienda 40 anni fa, che mi sarei ritrovato coinvolto in una causa contro il governo», dice lui. Basta scorrere le (relativamente poche) recensioni della ditta per capire che è diventata una guerra di religione: gli uni a farne un santo martire, gli altri a impallinarlo come il peggiore dei traditori della patria. Parlando con i giornalisti, lui si dice incredulo e semplicemente tiene a difendere la sua impresa da provvedimenti che fanno tremare il mondo, entrare in fibrillazione le cancellerie del pianeta, mettere sotto sopra i flussi del commercio internazionale. Lui l’aveva già assaggiato l’effetto del primo round di provvedimenti di Trump nel primo mandato presidenziale, quando la Casa Bianca ha orchestrato tutto il baraccone con Trump che ha firmato in diretta tv i dazi a beneficio di telecamera e poi rinegoziarli, poi rimetterli, quindi appesantirli, poi no, ma invece sì, Schwartz l’ha presa esattamente come «una minaccia all’esistenza» della sua ditta, così ha detto alla Cnn.

Il frontespizio della causa legale intentata contro la Casa Bianca sulla questione dei dazi

Del resto, quando i suoi avvocati lo hanno avvertito della vittoria in primo grado, nel maggio scorso, lui stava semplicemente cucinandosi un piatto di pasta e non voleva crederci. Aveva dalla sua il “Liberty Justice Center”, un pool di avvocati schierato  tutela di battaglie in nome dei diritti, e il prof. Ilya Somin, giurista della George Mason University: visto che i democratici non sembrano ancora essersi risvegliati dallo choc della sconfitta di Kamala Harris, questo piccolo imprenditore è diventato una sorta di bandiera di chi si ribella a Trump.

Perché gli hanno dato ragione e cosa c’è dietro

A dire il vero, lui non voleva far altro che salvare la ditta più che diventare un simbolo. Ma ha trovato un giudice. Anzi, più di uno: visto che in appello la corte giudicante gli ha dato ragione con una maggioranza di 7-4. Il punto è solo apparentemente tecnico-giuridico: Trump non poteva prendere quelle decisioni sui dazi per conto proprio senza seguire il normale iter parlamentare perché non c’era nessuna esigenza di urgenza né di emergenza. Ma qui si va al cuore del trumpismo: la distorsione delle forme della democrazia rappresentativa a suon di ordini esecutivi palesemente incostituzionali e spesso mirati contro singole realtà o figure. Non si possono abrogare le leggi in nome del consenso elettorale, la “dittatura della maggioranza” non è una democrazia e dovrebbe bastare un manualetto delle scuole superiori per certificarlo. Questo dice la vicenda di Schwartz, e non solo negli Usa.

Beninteso, in questa battaglia legale Schwartz è l’apripista ma con lui ci sono altre piccole imprese: Genova Pipe, una azienda di Salt Lake City che si occupa di tubi; Terry Precision Cycling, un marchio del Vermont tutto dedicato al ciclismo femminile; FishUsa, ditta della Pennsylvania che vende attrezzature agli appassionati di pesca; Microkits, azienda nata in Virginia dal pallino di un ingegnere che vuol insegnare ai bambini come costruire gadget elettronici. A differenza del newyorkese Schwartz, tutti provenienti dal ventre della provincia americana.

L’importatore newyorkese non voleva giocare a fare lui il Davide contro il Golia della Casa Bianca, si è detto: «Non siamo una grande azienda, non possiamo semplicemente resistere alla tempesta», ha ripetuto  in tv al canale all news spiegando di non poter contare sulle riserve di liquidità dei colossi. Aggiungendo poi, nelle parole riportate da “Repubblica”: «Mettiamola così: volevo solo importare questi deliziosi vini da denominazioni interessanti di tutto il mondo e venderli a una comunità che la pensa come me». E al “Financial Times”, ricordando che di botto la nuova tariffa del 15% è cinque volte superiore a quella del 3% pagata fin lì, dichiara: «Hai mai avuto una tassa che si quintuplica durante la notte?».

Il presidente statunitense Donald Trump mostra una tabella sui dazi: ma i numeri sono calcolati in modo sbagliato

L’ex funzionario della finanza stregato dal buon vino

In effetti, anche la sua traiettoria di vita è abbastanza fuori dal comune. In una lunga intervista-confessione a M.J. Towler (“Black Wine Guy”) racconta le origini della sua famiglia, americana sì ma residente a Baumholder, un paesino a metà strada fra Francoforte e il confine con la Francia, con il babbo medico e la mamma che lo inizia a una artigianale cultura domestica del cibo. Ma gli studi lo portano lontano: ottima università, la Cornell, appena qualche gradino sotto Harvard; bella laurea in finanza. Bel posto alla Union Bank e lavoro a San Francisco fra prestiti e obbligazioni. Finché – racconta – il capo lo prende da parte e gli contesta le cravatte un po troppo yè-yè. Risultato: «O saltavo giù in tempo o sarei stato risucchiato», dice lui. La voglia di mettersi in proprio passa per un ruolo da direttore plenipotenziario di locali, una attività di qualcosa che ora chiameremmo “catering”, la scoperta dei vini californiani e l’intenzione di farli conoscere ma il “delivery” come lo conosciamo ora non era immaginabile…

Adesso sul sito dell’azienda, la Vos Selections, compare un link dedicato a questa battaglia contro la guerra dei dazi scatenata da Trump. Dice: «In Vos Selections abbiamo speso quasi quattro decenni a costruire un’azienda radicata nei rapporti con i piccoli produttori di tutto il mondo, con i nostri clienti e con la nostra comunità. Importiamo vini e liquori che non possono essere replicati da nessun’altra parte perché sono profondamente legati alla terra, alla cultura e alle persone che li producono. Questi super-dazi adesso minacciano di distruggere quell’ecosistema. Le nuove tasse – imposte senza l’approvazione del Congresso – colpiscono pesantemente non solo contro la nostra attività, ma anche il sostentamento delle famiglie di agricoltori che rappresentiamo e l’accesso che i consumatori americani hanno a prodotti diversificati e autentici. Crediamo nel libero mercato, nel processo equo e nell’alzare la voce quando qualcosa non va. Ecco perché abbiamo preso parte a una sfida legale a questi dazi. Non si tratta di politica, si tratta di principi: e di preservare l’integrità di un’azienda creata sulla onestà, sulla fiducia e sull’idea di importare senza timori».

Mauro Zucchelli

Pubblicato il
31 Agosto 2025
di MAURO ZUCCHELLI

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