L’“acqua alta” dei mugugni: il porto di Venezia se la prende con il “Mose”
Gli operatori protestano per i tempi morti nelle alzate a difesa della città

Davide Calderan, presidente
VENEZIA. Se si è stabilito che le paratoie si alzino quando la marea è alla quota di 110 centimetri, lo si faccia quando è quell’altezza: in realtà, c’è un margine d’errore messo in preventivo e di fatto per l’ok all’alzata basta quota 105. Alla Venice Port Community (Vpc) – che rappresenta la voce degli operatori portuali dello scalo veneto – non è andato giù il fatto che il “Mose”, la mastodontica anti-maree a difesa della fragile città di Venezia dall’ “acqua alta”, sia stato messo in funzione in modo che non tiene adegiatamente conto anche delle esigenze della portualità. Il presidente Davide Calderan dice che c’è un protocollo e va rispettato, altrimenti – avverte – «si crea l’imprevisto, con gli extra costi che ne derivano, sia dal punto di vista organizzativo che economico» e senza contare «i danni che si creano ai clienti del porto di Venezia, che potrebbero indispettirsi».
Da parte degli operatori si mette nel mirino il fatto che mercoledì scorso «il Mose è stato sollevato alle 12.15, quando la marea alla Punta della Salute era già calante, a un’altezza di 88 centimetri (la massima era stata di 92 centimetri alle 12.10)». Non basta: «Allo stesso modo, non si comprende come mai le paratoie siano state abbassate quando la marea a Malamocco aveva raggiunto i 65 centimetri alle 15,35». Lo si sarebbe potuto fare già «un’ora e mezza prima quando la marea era di 90 centimetri, quasi come al momento dell’alzata» e questo – viene ribadito – avrebbe permesso di anticipare il ritorno alla normalità per la regolare operatività in porto.
Mercoledì scorso, alla 108° alzata, secondo quanto riporta il “Corriere del Veneto”, il Mose «era stato sollevato perché erano stati previsti 107 centimetri a Venezia e quindi con la pioggia e il vento di bora il livello rischiava di salire. In mare la marea ha poi raggiunto 116 centimetri, mentre a Punta della Salute c’è stato un massimo di 93 centimetri. La chiusura è stata avviata alle 11.30 e conclusa alle 15.10». Pur condividendo «la preoccupazione per la salvaguardia di Venezia», a giudizio di Calderan si doveva prestare maggiore attenzione alla tutela anche dell’operatività del porto e ridurre i tempi.
Non è la prima volta che il mondo portuale manda segnali di disappunto nei riguardi dei tempi di azionamento del “Mose” e il riflesso che ha sull’operatività del porto, che deve bloccarsi talvolta con quello che per Calderan è un eccesso di anticipo. Già nell’autunno scorso, ad esempio, in una intervista al Tg3 Veneto l’esponente della Venice Port Community aveva stimato in «300-400mila euro» il “prezzo” in termini di blocco delle attività che il porto di Venezia deve pagare ad ogni alzata delle paratoie («e se il tempo si allunga, altri 100mila per ogni ora in più». Nel porto di Venezia – queste le sue parole – lavorano 20mila persone (incluso l’indotto), il fatturato complessivo è attorno ai due miliardi di euro e nella “port community” figurano «più di 40 aziende». Si stima che ogni alzata comporti lo stop di una trentina di navi, in entrata e in uscita. A giudizio di Calderan, è l’unica economia non turistica della città a pagare il prezzo più alto.
In una dichiarazione riportata da “Shipping Italy”, il numero uno della Venice Port Community ricorda anche che «il 10 dicembre il Mose è stato chiuso alle 3.30 quando alla Salute c’erano 71 centimetri e la riapertura è avvenuta alle 9.35, quando la misura era sempre sulla settantina». Anche in tal caso, si sarebbe potuto esser più rapidi visto che «un’ora e mezza prima, alle 8.05, la soglia sarebbe stata di un’ottantina centimetri», dunque ben al di sotto dei valori di sicurezza e oltretutto «c’era marea calante».
«Non è accettabile – afferma Calderan – che le chiusure si prolunghino di variate ore per mancanza di rispetto dei livelli stabiliti. Non possiamo non considerare che l’economia del porto è fondamentale per il territorio e non può esser sconnessa per mancanza di programmazione mirata e attenta. Ricordiamo che le nostre aziende continuano a investire per offrire livelli di eccellenza sia dal punto di vista della produttività aziendale, ma anche in termini di know-how».