Ecco i motivi per cui le navi asiatiche non scaricano nei porti d’Italia

Angelo Roma, una vita al lavoro in campo marittimo: fra Intercontainers, Toremar e Interporto
Potremmo chiamarla così: l’occasione mancata di una potenza marittima nel cuore del Mediterraneo. Nonostante gli oltre ottomila chilometri di coste e una posizione geografica che la proietta nel cuore del Mediterraneo, l’Italia continua a essere solo sfiorata dalle grandi rotte del commercio globale. La maggior parte delle navi container in arrivo dall’Asia preferisce evitare i porti italiani e dirigersi verso i grandi hub del Nord Europa, come Rotterdam, Amburgo e Anversa. Un paradosso, se si considera che l’80-90% delle merci mondiali viaggia via mare e che il Mediterraneo è uno snodo strategico che collega il Pacifico e l’Oceano Indiano con l’Atlantico.
La ragione di questa anomalia non è geografica, bensì infrastrutturale: i porti del Nord Europa garantiscono servizi più organizzati, collegamenti terrestri più efficienti e una logistica intermodale capace di distribuire rapidamente le merci verso il cuore del continente. L’Italia, al contrario, paga una morfologia complessa — un territorio lungo, stretto e attraversato da catene montuose — oltre a inefficienze burocratiche e, in alcuni casi, infiltrazioni criminali nella gestione delle infrastrutture. Fermo restando che si deve anche considerare i legami e le dinamiche di controllo dei corridoi e degli asset terminalistici.
Eppure, il potenziale c’è, e gli esperti concordano sul fatto che il Paese dovrebbe puntare a intercettare una quota maggiore dei traffici globali. Per farlo servono ampliamenti portuali, investimenti mirati sulla rete ferroviaria e stradale, e un vero salto di qualità nell’interscambio tra porti e infrastrutture interne. Interventi che, se attuati, porterebbero benefici anche al Mezzogiorno, favorendo occupazione e sviluppo.
Una domanda, quindi, sorge spontanea: Quanto pesa realmente la parte infrastrutturale rispetto alla governance complessiva del sistema portuale italiano?
Il Mediterraneo non è solo un mare commerciale. È anche un’area sempre più contesa da potenze emergenti. Negli ultimi anni, mentre la presenza statunitense si è ridotta per concentrarsi sul Pacifico, Paesi come Russia e Turchia hanno ampliato la loro influenza nella regione, dalla Libia al Medio Oriente fino al Sahel. L’Italia, che dipende dal Mediterraneo per la propria sicurezza energetica — basti pensare al gas estratto o ai gasdotti come Tap (1) e Poseidon (2) — rischia di vedere compromessi i propri interessi.
A complicare il quadro si aggiunge la questione delle Zone Economiche Esclusive (Zee). L’Algeria ha esteso la propria “Zee” fino a sfiorare le coste della Sardegna, mentre l’Italia non ha ancora reso operativa la propria. Una mancanza che indebolisce la posizione del Paese e limita la tutela delle sue risorse marine (Tema cruciale: domandiamoci se non stia diventando soprattutto uno strumento geo-economico più che giuridico).
In questo scenario, Roma dovrebbe rafforzare la sua presenza in mare, migliorare la sorveglianza dei cavi sottomarini — fondamentali per la connettività di mezza Europa — e sostenere politiche europee più incisive nel Mediterraneo allargato, inclusa l’area del Sahel, cruciale per la gestione delle rotte migratorie.
Il Mediterraneo è da sempre un pilastro per la sicurezza, l’economia e il ruolo internazionale dell’Italia. Eppure, per sfruttarne appieno le potenzialità, servono strategia, investimenti e una visione a lungo termine. Il rischio, altrimenti, è restare ai margini di uno dei teatri geopolitici più dinamici del mondo.
Angelo Roma
(Angelo Roma, consulente marittimo, è stato fino a poco tempo fa vicepresidente di Interporto Toscano di Guasticce, nel curriculum anche il periodo alla guida di Toremar e, in anni più lontani, il ruolo di port captain di Zim, la compagnia di navigazione israeliana)
(1) Tap sta per “Trans-Adriatic Pipeline”, in italiano Gasdotto Trans-Adriatico: è un gasdotto che parte dalla frontiera che divide Grecia e Turchia e arriva fino in Italia sulla costa adriatica nei pressi di Lecce.
(2) Il “gasdotto Poseidon” si riferisce a diversi progetti, ma il più noto è il gasdotto che collegherebbe la Grecia e l’Italia. In origine, era concepito come parte di un progetto più ampio (Igi Poseidon) per trasportare gas naturale dalla Russia tramite l’Anatolia, la Grecia, l’Italia e altri paesi europei. Sebbene il progetto originale della connessione tra Grecia e Italia sia stato autorizzato nel 2011, lo status di “Progetto di Interesse Comune” della Ue per il ramo Poseidon è stato rimosso nel 2023, per quanto la sua costruzione possa ancora procedere.
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