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PISA: NUOVI MATERIALI

L’elettronica diventa biodegradabile grazie ai gusci di mandorle

Come ti invento il bio-circuito: la lignina è un ottimo precursore del grafene

Il professor Fracncesco Greco (Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa)

PISA. È passato mezzo secolo dagli spot tv di Franco Cerri, d’improvviso passato da jazzista cult a icona pop per massaie grazie alla pubblicità dell’”uomo in ammollo” del Bio Presto: da allora la parola “biodegradabile” l’abbiamo associata a qualcosa tipo detersivo o le buste del supermercato, cose così.  In realtà, a essere biodegradabili sono mille altri elementi della nostra quotidianità: a cominciare dai punti chirurgici o dagli imballaggi a base di alghe, certi tipi di posate e certi piatti. Mai avremmo sospettato che anche l’elettronica potesse essere biodegradabile.

Va in questa direzione uno studio coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che, pubblicato sulla rivista “Advanced Functional Materials”, ha visto impegnata una équipe di ricerca capitanata da Francesco Greco, professore associato di bioingegneria. Dov’è il punto? Nel fatto che si possono «produrre circuiti e sensori completamente bioderivati e biodegradabili utilizzando gusci di mandorla» senza per forza essere costretti ad abbandonarsi a suggestioni da fantascienza.

Si può utilizzare un guscio di mandorla per realizzare una bio-plastica “intelligente” e realizzare un dispositivo elettronico? La risposta la dà il professor Greco, mostrando anche su Youtube cosa hanno fatto nei laboratori del Sant’Anna. Non è affatto casuale ogni riferimento alla ricerca denominata “Ligash”: finanziata dal ministero dell’università e della ricerca e messa in pista in virtù del contributo dell’azienda Damiano Organics spa, una realtà di primissimo piano a livello mondiale nella produzione di mandorle biologiche.

Quel che hanno fatto lo spiega Anna Chiara Bressi, post-doc dell’istituto pisano: «Prima polverizziamo i gusci di mandorle, poi li mescoliamo con acqua e chitosano, una sostanza estratta da crostacei come granchi e gamberetti: funziona un po’ come una colla naturale». La miscela viene colata e, una volta asciutta, si ottiene un materiale flessibile: «simile alla pelle e degradabile», viene spiegato («i materiali si sono rivelati completamente biodegradabili nel suolo in circa 90 giorni»). La parte innovativa, dove sta? Nel fatto  che questa bioplastica viene «tramutata in circuiti e sensori».

«Il segreto – sottolinea Marina Galliani, anch’essa post-doc del Sant’Anna – è la lignina:molecola presente nei gusci di mandorla come anche nel legno: nel nostro laboratorio un laser particolare riesce a convertire la lignina in grafene, materiale conduttivo formato da atomi di carbonio. A quel punto inseriamo la bioplastica dentro lo strumento: dove passa il laser la superficie diventa grafene con cui creiamo circuiti elettrici e sensori».

Il team dell’istituto di biorobotica coordinato da Greco ha cercato sponda prima di tutto in “casa”: all’interno della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha trovato l’alleanza con l’Istituto di Produzioni Vegetali con Luca Sebastiani e Alessandra Francini, professore ordinario lui e ricercatrice “tenure track” lei di arboricoltura generale e coltivazioni arboree. Allargando il campo, ci si è avvalsi anche della collaborazione con Graz University of Technology e l’Istituto Italiano di Tecnologia per alcune analisi sperimentali.

Dal Sant’Anna tengono a mettere in risalto che questo non è solo riciclo, cioè riuso di uno scarto per farne una nuova materia prima, è un passaggio che anziché limitarsi a riciclare i materiali, li tramuta in qualcosa che abbia un valore superiore. Come dice il prof. Greco, coordinatore dello studio: qui si convertono in risorse i rifiuti biologici privi di valore commerciale. «È un passo significativo verso un’elettronica più sostenibile, con possibili applicazioni nella creazione di dispositivi elettronici degradabili che eviteranno la formazione di microplastiche e rifiuti elettronici, riducendo al minimo l’impatto sull’ambiente».

Il punto di partenza è il fatto che i gusci di mandorla sono una gran rottura di scatole: è uno scarto agroalimentare abbondante (se pensate a quanta parte della mandorla si butta via) e voluminoso (idem). Smaltirlo è un costo e finora non c’erano processi che lo tramutassero in qualcos’alto. Cos’ha fatto Damiano Organics sponsor della ricerca? Ha messo a disposizione tanti gusci di varie tipologie di mandorle e i ricercatori dell’istituzione universitaria pisana ne hanno ricavato prima di tutto un identikit: è stata scovata «una alta concentrazione di lignina, polimero organico ottimo precursore del grafene».

Yulia Steksova, Phd student della Scuola Sant’Anna e prima autrice dello studio, racconta che «abbiamo creato un sensore di umidità, perfetto per il monitoraggio agricolo: quando arriva a fine vita, il sensore di degrada nel terreno tornando alla natura: è un vero esempio di economia circolare. Da scarto a risorsa».

Il risultato è il composito bioderivato in forma di film: «rispetto al materiale grezzo, si è dimostrato più adatto per applicazioni di elettronica flessibile e biodegradabile», dicono dal Sant’Anna. E questo – si avverte – apre la strada alla «realizzazione di dispositivi elettronici a impatto zero, come sensori ambientali o medici destinati a degradarsi in maniera naturale dopo l’uso». Senza contare che, «oltre agli sviluppi nel campo dei circuiti e dei sensori», i ricercatori hanno individuato nel composito «una potenziale alternativa alla pelle conciata: modificando la composizione, è possibile ottenere infatti un materiale flessibile, resistente, in grado di essere cucito e dall’aspetto simile alla pelle naturale».

L’istituzione universitaria pisana informa che sono in corso «sperimentazioni con altri scarti della lavorazione delle mandorle, come le pellicine, e con gusci di altra frutta secca (nocciole, pistacchi): i risultati preliminari sono promettenti». Esiste anche un’ulteriore evoluzione del progetto: riguarda «l’esplorazione della stampa 3D di materiali analoghi, per la produzione di dispositivi personalizzati su scala».

Yuliia Steksova nel laboratorio della Scuola Sant’Anna di Pisa

Yulia Steksova confessa che il team vorrebbe applicare questi risultati allo sviluppo di dispositivi per il monitoraggio ambientale: «Ad esempio, per l’umidità dell’aria e del suolo, qualità dell’acqua e altro ancora, in un’ottica davvero circolare, sviluppato dalla natura per la natura». Un altro desiderio ancora: contribuire alla crescita della comunità scientifica («speriamo che questo metodo stimoli altri ricercatori a concentrarsi su materiali completamente naturali e degradabili»).

Luca Sebastiani, professore dell’Istituto di Produzioni Vegetali, segnala che il progetto non solo ha unito le due anime della Scuola: grazie al progetto “Ligash” si è dimostrato come «la ricerca e l’innovazione siano validi strumenti per rendere l’Agricoltura un processo sempre più sostenibile: in questo caso, riciclo degli scarti e loro trasformazione in sensori biodegradabili ed a basso costo». Aggiungendo, infine: «Dopo aver caratterizzato le matrici vegetali in questo studio, in futuro valuteremo l’applicazione in campo di questi sensori».

Pubblicato il
13 Dicembre 2025

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