Sos Pierburg in vendita, indiscrezioni sull’interesse di un fondo finanziario Usa
La rabbia dei lavoratori: la casa-madre fa utili e la ristrutturazione la paghiamo noi

Ingresso stabilimento Pierburg Rheinmetall in via Salvatore Orlando
LIVORNO. C’era una volta a Livorno la Motofides, uno stabilimento che ha fatto la storia dell’industria (e della classe operaia) labronica: dopo gli anni sotto le insegne Fiat, negli anni ’90 è stata acquistata da una multinazionale (tedesca) come buona parte delle fabbriche del comprensorio. Finora era rimasta ai margini del ciclone che aveva travolto colossi della componentistica auto come Delphi e Trw, adesso la minaccia arriva da qualcosa che ancora solo una dozzina di anni fa sarebbe stata inimmaginabile: la crisi del gigante Germania, che senza più il gas russo a basso prezzo e senza una potentissima industria dell’auto (messa in ginocchio agli inizi da quel singolare pateracchio del “dieselgate”), si è ritrovata a doversi reinventare un modello di sviluppo nel bel mezzo di una crisi che è anche politica. La ricetta: puntare sul complesso militare-industriale riconvertendo in fabbriche del settore difesa una bella fetta degli stabilimenti della galassia auto.
Ma cosa c’entra lo stabilimento alla periferia nord di Livorno con quel che si muove fra Berlino e Wolfsburg, fra Francoforte e Amburgo? Eccome se c’entra. Una manciata di anni prima di comprarsi lo stabilimento livornese la Pierburg era finita sotto l’ala del gigante Rheinmetall: un gruppo che si occupa di componenti auto rilevato da uno dei principali gruppi di produzioni militari che esistano in Germania. Finora quest’ombrello si avvertiva fino a un certo punto: ma adesso Rheimetall punta a fare il percorso a quello di quarant’anni fa, e anziché diversificare su un ventaglio di produzioni di tipo metalmeccanico, ecco che torna a concentrarsi sulla difesa. E vende tutto il resto: solo che sindacati e lavoratori temono, neanche tanto a torto, che la casa-madre si sia data l’obiettivo di fare cassa e farla abbastanza alla spiccia.
Ecco perché, a distanza della sirena d’allarme già risuonata da qualche tempo, i lavoratori sono tornati a riunirsi in assemblea e a metter nero su bianco un ordine del giorno in cui si dichiara lo stato di mobilitazione permanente. C’è un dettaglio che dice quanto si sia ficcata in profondità questa preoccupazione: in una fabbrica da 240 addetti il documento è stato approvato all’unanimità (con due astenuti).
Meno di due mesi fa, dopo un valzer di voci e nessuna certezza, i metalmeccanici Cgil avevano notato un segnale: in una intervista al canale economico tedesco n-tv, Armin Papperger, numero uno del gruppo che controlla la Pierburg, aveva detto chiaro e tondo che «sarà venduta nel primo o nel secondo trimestre del prossimo anno» la divisione Power Systems alla quale appartiene anche lo stabilimento Pierburg di Livorno.
La novità di adesso è che rimbalzano indiscrezioni relative a «una possibile vendita a un fondo finanziario statunitense, accompagnate dall’esclusione di altri stabilimenti europei (tra cui Germania e a quanto pare Francia)». Cioè, per gli stabilimenti italiani si profila il rischio di una vendita non di una attività industriale che proseguirà bensì di «uno “spezzatino” industriale inaccettabile». Tradotto: l’obiettivo dell’acquirente si rischia che non abbia a che fare con un rilancio bensì, al contrario, con lo smembramento di tutto quanto può essere poi messo sul mercato.
Beninteso, non è un destino segnato ma le preoccupazioni sono forti. Per questo motivo, il leader dei metalmeccanici Fiom Cgil, Massimo Braccini, e la Rsu della fabbrica tengono a sottolineare i tre elementi che l’assemblea mette al centro della propria denuncia:
- mentre «Rheimetall sta facendo profitti», si assiste al «tentativo inaccettabile di scaricare sui lavoratori il prezzo della ristrutturazione»
- non c’è nessuna trasparenza «sull’operazione societaria e sull’identità e solidità del potenziale acquirente»
- non c’è nessuna «garanzia occupazionale e industriale» per il futuro dello stabilimento livornese.
I lavoratori e le lavoratrici dello stabilimento Pierburg Pump Technology Italy di via Salvatore Orlando indicano un poker di questioni sulle quali chiedono risposta alla casa madre Rheinmetall:
- la «presentazione immediata di un documento ufficiale che chiarisca le motivazioni industriali della cessione»
- la condivisione di un piano industriale dettagliato del nuovo acquirente («con impegni vincolanti e la responsabilità solidale di Rheinmetall»)
- la garanzia del «mantenimento di tutti i livelli occupazionali, compresi i lavoratori somministrati, e della contrattazione integrativa»
- il «rispetto pieno delle norme italiane ed europee anti-delocalizzazione».
C’è anche la volontà di coinvolgere le istituzioni: la Rsu e la Fiom Cgil si rivolgono «al Comune di Livorno, alla Regione Toscana e al governo» per chiedere «l’apertura immediata di un “tavolo di crisi nazionale” al ministero delle imprese e del Made in Italy», così da: 1) «verificare la trasparenza dell’operazione»; 2) «attivare ogni strumento necessario a difendere un asset industriale strategico per il Paese».
Quanto al rapporto con il sindacato, l’assemblea ha affidato alla Rsu e alla Fiom Cgil il mandato esplicito di:
- costruire «un coordinamento nazionale con gli altri stabilimenti italiani del gruppo (Lanciano, Torino)»
- organizzare presìdi, iniziative pubbliche e campagne di informazione
- «rifiutare ogni forma di ricatto morale o ambiguità aziendale».
«Se l’azienda intende voltare le spalle a chi ha prodotto ricchezza per suo conto, – dicono Braccini e la Rsu – si assuma fino in fondo l’onere sociale e industriale della transizione. In caso contrario, garantisca la continuità produttiva e occupazionale dello stabilimento di Livorno».