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L'INDUSTRIA

L’allarme del magnate della chimica: queste 90 fabbriche hanno già chiuso

Il sindacato: il problema sono i costi energetici e il governo aumenta le accise...

Jim Ratcliffe, l’ingegnere-magnate britannico al timone del colosso Ineos

ROSIGNANO (Livorno). L’hanno chiamata la “Ratcliffe list”: è una sfilata di industrie chimiche che, nell’ultimo triennio, hanno chiuso i cancelli, sono state avviate alla fermata definitiva o ne è stata annunciata la chiusura. In casa Cgil parlano di «una perdita di capacità produttiva stimata in circa 25 milioni di tonnellate».  Novanta fabbriche in tutto, per più di della metà delle quali (48) la fine risulta in calendario in questo 2025. Dove? Se ne contano, ad esempio, 27 in Germania, 16 nei Paesi Bassi, 14 in Italia, 10 in Francia.

La cosiddetta “Ratcliffe list” è stata pubblicata, per un curioso capriccio del destino, all’indomani dell’incontro del sindacato in Regione Toscana «convocato – dicono dal quartier generale della Filctem-Cgil – proprio per affrontare la crisi del settore chimico».

Il “padrone” e il sindacato suonano la sirena d’allarme

Può sembrare paradossale, ma lo è solo fino a un certo punto, che lo scenario dipinto dal padrone di Ineos, un tipo che non è mai stato accondiscendente nei riguardi delle organizzazioni dei lavoratori, arrivino sottolineature che l’organizzazione Cgil di categoria vede come «una conferma puntuale e preoccupante delle analisi che sosteniamo da tempo». Il padre-fondatore di Ineos – osserva il sindacato livornese – parla apertamente di «crollo dell’industria chimica europea»: occhio però che questo «non descrive uno scenario futuro ma una crisi già in atto, con effetti devastanti sull’occupazione, sulla tenuta industriale e sull’autonomia produttiva del nostro Paese e dell’Europa».

Al fronte sindacale non resta che usare l’arma di una beffarda ironia: «Non ci risulta che il fondatore di Ineos sia iscritto alla Cgil; eppure le preoccupazioni che oggi esprime sono le stesse che il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, denuncia da tempo: senza una svolta immediata nelle politiche industriali e commerciali, l’Italia e l’Europa rischiano una desertificazione produttiva irreversibile».

L’interno dello stabilimento Ineos a Rosignano: uno degli impianti

I timori per il polo Ineos di Rosignano, la città-fabbrica

Cgil e Filctem-Cgil rivendicano di «aver fatto bene ad attivarci immediatamente, portando il tema all’attenzione della politica locale di Rosignano e della Regione Toscana». A Rosignano Ineos ha «due stabilimenti, circa 400 lavoratrici e lavoratori diretti e oltre 600 complessivi considerando l’indotto». Bastano questi numeri – dice il sindacato – a mostrare quanto sia evidente come «ogni scelta industriale e politica abbia ricadute sociali enormi e non eludibili: la “Ratcliffe list” certifica il fallimento delle politiche industriali europee e nazionali».

Forse le ricette per uscirne saranno differenti ma tanto il superpadrone che il sindacato suonano la irena d’allarme. Nel mirino delle organizzazioni sindacali è soprattutto un aspetto: «Un patrimonio produttivo costruito in decenni viene progressivamente smantellato senza una strategia credibile di difesa e rilancio dei settori strategici». Dito puntato contro l’attuale governo italiano: è «del tutto inadeguato», è «sdraiato sulle posizioni americane» ed è «incapace di contrastare i dazi e le distorsioni del commercio internazionale». Desta «forte preoccupazione» il atto che non spiccichi parola nel contesto europeo sul tema del contrasto ai dazi americani. Aggiungendo poi: «Mentre altri Paesi difendono con decisione le proprie industrie strategiche, l’Italia resta silente e subalterna, lasciando lavoratori e territori esposti a chiusure e dumping».

Sull’aumento delle accise sul gasolio, intervengono Gianfranco Francese (segretario generale Cgil Livorno) e Stefano Santini (segretario generale Filctem-Cgil Livorno): «Invece di mettere in campo una strategia per affrontare il costo dell’energia che grava pesantemente sui costi produttivi delle imprese, la decisione del governo Meloni di aumentare le accise sul gasolio è una scelta che sgomenta: colpisce direttamente la logistica e l’industria manifatturiera. Come se le materie prime e i prodotti finiti non viaggiassero su gomma ma con mongolfiere ad elio…». Per i dirigenti sindacali, questo rincaro delle accise dimostra «una totale distanza dalla realtà concreta dei processi produttivi e che rischia di aggravare ulteriormente la crisi industriale».

Corteo sindacale di protesta

A ciò si aggiunga il fatto – si sottolinea dalla trincea sindacale – che «ingenti risorse economiche» vengono sottratte «alla difesa industriale e occupazionale del Paese» per «destinarle alla spesa militare e agli armamenti, lasciando senza risposte settori strategici come la chimica, l’energia e la manifattura».

Gianfranco Francese a nome della Cgil e Stefano Santini dalla plancia della Filctem-Cgil, sottolineano che «la concorrenza sleale, l’esplosione dei costi energetici e l’assenza di strumenti efficaci di protezione commerciale stanno mettendo in ginocchio un comparto che vale oltre un trilione di euro ed è essenziale per la difesa, la sanità, l’alimentazione e l’industria manifatturiera».

Ma i guai in vista non sono solo per Ineos

C’è un Ineos in sé, e questo mette in ballo il destino di quei 400 (o 600) addetti rosignanesi. Ma la “Ratcliffe list” non può far altro che far rizzare i capelli perché parla di una crisi generalizzata dell’industria chimica, e lo dice in un territorio come la fascia costiera livornese in cui la presenza dell’industria chimica è così rilevante. A maggior ragione a Rosignano, un polo di 30mila abitanti costruito attorno alla manifattura chimica internazionale.

In effetti, il problema è che tanto le parole di Ratcliffe che la sua “lista” raccontano una crisi del complesso dell’industria chimica europea che non è limitata a questo o quel marchio. Secondo quanto riporta il quotidiano livornese “Il Tirreno”, nella sua ultima recente presa di posizione il magnate britannico al timone di Ineos mette in rilievo la doppia ragione per cui il mercato europeo è invaso da prodotti in arrivo dalla Cina a prezzi al di sotto dello standard: «In primo luogo, le politiche di Trump hanno escluso questi prodotti dal mercato statunitense, deviandoli verso l’Europa; in secondo luogo, la Cina ha sovradimensionato la propria capacità produttiva. Nessuna azienda cinese sta realizzando profitti, e tutto questo surplus sta finendo in Europa a prezzi da dumping».

Un po’ di identikit del polo chimico toscano

Vale dunque la pena di dare uno sguardo ai dati che, con una esperienza abbastanza rara nel mondo produttivo, prima il polo chimico livornese e ora il “cuore” del comparto chimico toscano mette nero su bianco per iniziatuva confindustriale. E’ il “bilancio di sostenibilità” presentato la primavera scorsa relativamente a 27 aziende in cinque province della Toscana (da Neri, Ineos, Inovyn e Solvay a Laviosa, Eni, Costiero Gas, Toscopetrol e Prysmian, solo per citarne alcune). Segnala gli standard delle aziende: il 92% ha la certificazione di qualità (Iso 9001), l’88% quella ambientale (contro una media del settore che non arriva più in alto del 37%), l’80% quella relativa a salute e sicurezza (rispetto alla media del settore che si ferma al 61%). Ha generato nel 2023, ultimo dato disponibile, un fatturato peri a 3,2 miliardi di euro, in calo rispetto al 4,2 dell’anno precedente. Di questa valore economico, 221 milioni di euro è stato distribuito come buste paga, 71 milioni in pagamenti allo Stato. Sono stati iniettati nel sistema economico 156 milioni di euro di investimenti (più 2,2%), dieci milioni di euro sono stati destinati a progetti di ricerca e sviluppo (con 98 occupati su questa frontiera).

In queste 27 aziende chimiche si contano 3.223 dipendenti, in leggerissima crescita nonostante l’arretramenti dei ricavi: anche la percentuale di contratti a tempo indeterminato è più alta che altrove (93,3% rispetto alla media del 90% nell’industria manifatturiera toscana).  Resta un robusto divario di genere: gli addetti sono per il 12,7% donne (16,3% è la media della manifattura toscana): con le differenze che sono quasi zero fra i dirigenti (circa il 16%), superano i quattro punti fra i quadri, e si fanno molto rilevanti fra gli impegati (meno del 20% contro la media dell’industria regionale che sfiora il 49%) e soprattutto fra gli operai (appena più del 4% le donne, negli altri settori sono quasi il 30%).

Vedi alla voce “assunzioni”: 232 nel corso dell’ultimo anno “fotografato” (meno 11,5%), il 26,3% ha meno di 30 anni. Quanto agli infortuni, 21 aziende su 27 hanno raggiunto l’obiettivo di zero infortuni: se ne sono comunque verificati 10 (22 nel 2022), 9 dei quali nel tragitto casa-lavoro.

Capitolo emissioni in atmosfera. Lasciamo da parte l’(ovvia?) attestazione che «le emissioni in atmosfera delle componenti di monitoraggio sono ampiamente al di sotto dei limiti di legge»: stiamo parlndo di 639,2 tonnellate di ossidi di zolfo (quasi 729 nel 2022), 502,9 di ossidi di azoto (anch’esse giù da 535),5), 30,6 di polveri (che invece aumentano sensibilmente rispetto alle neanche 20 di dodici mesi prima), 339,6 di composti organici volatili.

Pubblicato il
22 Dicembre 2025
di M.Z.

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