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Jones Act e registro: un commento

LIVORNO – Riceviamo da un nostro attento lettore.

Forse sarebbe opportuno informare in maniera meno parziale i lettori in merito all’efficacia dell’ormai “antidiluviano” Jones Act, soprattutto per la buona pace del tanto nostro bistrattato “Registro Internazionale”. Ed in particolare in risposta al nostro ben noto autolesionismo nazionale, tematica in cui riusciamo a primeggiare. Di seguito alcune precisazioni; ovviamente pronto per un dibattito pubblico leale ed educato laddove Lei ed il dottor Onorato lo vogliano.

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– Il n. di 39 mila navi fa riferimento a tutte le tipologie di imbarcazioni operanti sotto bandiera Nazionale. Tenga conto che circa 16 mila sono costituite da “barges” od altri tipi di imbarcazioni di supporto che poco si confrontano con le navi operanti in c.s. “Flag State”.

– Se si vuole operare un’effettiva comparazione il n. delle navi si riduce a 3.667 (cfr. Clarkson Shipping Intelligence – World Fleet).

– Gli effetti del Jones Act non sembrano andare verso quanto auspicato dal dottor Onorato in quanto il n. delle navi globalmente impiegate sotto Jones Act si è ridotto dal 2006 ad oggi.

– Il n. delle unità impiegate nel settore “Trasporti Marittimi” si è parimenti ridotto, e globalmente è ben inferiore (250 mila unità) rispetto al totale risorse impiegate nel nostro Paese (circa 470 mila unità).

– La Flotta Statunitense ha un’età media di oltre 30 anni (cfr. Clarkson) e, se consideriamo le suddette navi di supporto impiegate attraverso “Jones Act”, tale età supera ampiamente i 40 anni. La nostra Flotta ha un’età media di poco superiore ai 10 anni.

– Il “seaborne trade” Statunitense sfiora le circa 800 mil. di metric/tons, praticamente oltre 6 volte quello interno Italiano, e gran parte avviene per vie d’acqua “interne”; quindi ogni paragone con l’Italia è improponibile stante la diversa “morfologia” geografica e demografica (come paragonare le “patate con le mele”).

In sintesi, gli USA stessi sono abbastanza delusi del modello “Jones Act” che, soprattutto alla luce dello sviluppo del mercato “shale Oil/Gas”, rischia di penalizzare la competitività e di impattare negativamente sull’economia, tant’è che da tempo si parla di riforma ed “allentamento” dei termini del Jones Act. Mi sembrava onesto ed opportuno precisare quanto precede.

Fabrizio Vettosi

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Pubblicato il
4 Luglio 2018

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