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INDAGINI NEI PORTI

Cocaina, gli “invisibili” in subappalto: i boss e le coop di mala locale

Da Capodanno a Gioia Tauro una sfilza di sequestri, valore mezzo miliardo

Controlli antidroga fra i cobtainer nel porto di Livorno: in azione i finanzieri delle Fiamme Gialle e il personale dell’Sgenzia Dogane

LIVORNO. L’ultimo blitz appena qualche giorno fa: l’ennesimo nel porto di Goia Tauro, quest’anno. I finanzieri del comando provinciale e i funzionari dell’Agenzia Dogane e Monopoli si sono ammoscati che in quei due container qualcosa non quadrava: la scansione radiogena con uno scanner portuale particolarmente sveglio ha fatto emergere anomalie negli spazi di ventilazione collocati sul fondo del contenitore e lì hanno scovati, dietro alcuni pannelli, 249 confezioni di cocaina, ciascuna all’incirca da un chilo. Totale: 288 chilogrammi sequestrati a tambur battente. Valore 45 milioni di euro.

Nei primi 250 giorni di quest’anno si sono susseguite numerose situazioni del genere: forse mai così numerose. E questo vuol dire che gli apparati delle forze dell’ordine, 007 compresi, riescono a intercettare una qualche parte del narcotraffico che la ‘ndrangheta ha messo in piedi con i grandi cartelli latinoamericani.

Gioia Tauro, le operazioni anti-droga come le ciliegie

Non sono passati nemmeno due mesi da quel lunedì mattina di metà luglio in cui un esercito di più di 250 carabinieri, poliziotti e finanzieri, mettendo le mani su 117 chili di cocaina, ha arrestato una cinquantina di persone con l’accusa di appartenere a due gang criminali specializzate nel traffico internazionale di stupefacenti.

E anche quello di metà luglio era stato preceduto da una sfilza di operazioni analoghe nel porto di Gioia Tauro. Scorrendo le cronache locali, basta tornare indietro di nemmeno una settimana ed ecco che l’8 luglio le Fiamme Gialle pizzicano un altro contenitore in cui era stati rimpiattati più di quattro quintali di cocaina: per la precisione, 417 chili distribuiti in 385 panetti contenuti in sedici sacchi.

Basta? No che non basta: risaliamo a ritroso il calendario e troviamo che un paio di settimane prima, il 24 giugno, la Guardia di Finanza stana altri 228 chili di cocaina, valore circa 35 milioni. Ma stavolta con una variazione sul tema: due portuali vengono pizzicati mentre stanno scaricando  i 193 panetti da un  contenitore. Provano a svignarsela in mezzo alle pile di contenitori alti anche 15-20 metri ma i finanzieri riescono a metterli nell’angolo e catturarli.

Blitz antidroga in mare a bordo di una nave: l’immagine è nell’ultima relazione della Direzione centrale servizi antidroga

Anche in mezzo a un container di trucioli di legno

In precedenza, a fine marzo è stato posto sotto sequestro un carico di oltre una tonnellata di cocaina: era nascosta in mezzo ai trucioli di legno fra migliaia di sacchi di pellet in undici container provenienti dal Brasile e giunti a Gioia Tauro dopo aver fatto tappa in uno scalo spagnolo. Anche in questo caso non l’hanno fatta franca di fronte al combinato disposto del “fiuto” dei cani antidroga dei finanzieri e al “naso” degli scanner di ultima generazione.

Ma dal punto di vista del valore della sostanza illecita sequestrata non ha eguali il sequestro avvenuto poco più di un mese prima: a metà febbraio erano entrati in azione i finanzieri e i doganieri hanno fatto vedere i sorci verdi a una serie di container sospetti  provenienti dal Sud America: prima il filtraggio per selezionare i sospetti da passare ai controlli (in nessuna parte del mondo si controllano tutti i contenitori in entrata, si formerebbero file inestricabili), poi fra scansione digitale e annusata canina alla fine in due contenitori sono stati trovati una parte dei panetti in mezzo a centinaia di sacchi di pellet e il rimanente nel vano motore di un contenitore frigo utilizzato per il trasporto di pesce surgelato. Al tirar delle somme, 788 chili di cocaina: secondo quanto riferito dagli inquirenti alla stampa locale, il valore è di 126 milioni di euro.

Siamo a un passo dalle tre tonnellate di cocaina sequestrate in una sequenza di operazioni di polizia: una montagna di stupefacenti che vale una montagna di soldi. Probabilmente non si va lontano dal giusto quando, a mettere insieme le valutazioni dei protagonisti di vari blitz, si stima che il valore possa essere attorno al mezzo miliardo di euro.

La “classifica” regione per regione dei sequestri di cocaina secondo quanto riportato nell’ultima relazione dell’Antidroga

 

L’altro modo per far uscire i carichi dalla cinta portuale

Fin qui si è detto di operazioni con stupefacenti occultati all’interno di container in modo da nasconderli il più possibile: in vani “segreti”; dietro la merce legale; all’interno di intercapedini. Ma c’è anche un’altra strategia che forse richiede una struttura logistica locale più abile: lo chiamano “sistema rip-on rip-off” – lo mette nero su bianco l’ultimo dossier della Direzione centrale servizi anti-droga (Dcsa) – e riguarda in genere cocaina rimpiattata vicino alle porte di apertura del container contenente merce normal. Meglio se in grado di creare odori che rendano difficile il lavoro al naso dei cani anti-droga. In questo caso iò segreto è la rapidità: entrare in azione appena dopo l’arrivo del container e fare tutto in un attimo perché lo stupefacente è già preparato in borsoni o zaini, già pronti e suddivisi in carichi più piccoli: serve per evitare che in caso di sequestro il danno per i narcotrafficanti sia troppo ingente ma anche perché zaini e borsoni devono apparire quanto più “normali” possibile.

Una controprova indiretta potrebbe essere letta nel fatto che è aumentato il numero dei blitz antidroga (più 13,9%) così come quello delle persone “denunciate” all’autorità giudiziaria (più 8,6%) eppure al tempo stesso cala il totale della sostanza stupefacente sequestrata, e di parecchio (quasi un chilo ogni quattro, meno 24,6% secondo l’ultimo dossier disponibile dell’Antidroga).

Se la fuoriuscita dal recinto portuale è la fase delicata, in caso di confezionamenti di pochi chilogrammi si può anche cercare la soluzione nel lancio al di sopra della recinzione in un luogo meno illuminato e meno sotto l’occhio della telesorveglianza. Questa esfiltrazione, secondo le indagini degli investigatori, può essere anche “subappaltata” a organizzazioni esterne. Ma con una distinzione: in un luogo come l’area reggina dove la ‘ndrangheta deve la sua legittimazione anche alla capacità di controllo del territorio, è difficile credere che le cosche permettano a gang di “liberi professionisti criminali” indipendenti di compiere azioni che non siano in qualche modo “autorizzate” o per conto della cosca-madre.

Anche porti lontani dalla Calabria – ad esempio, Livorno e Genova ma non solo… – sono coinvolti nelle direttrici del narcotraffico; basterebbe ricordare l’attenzione che non di rado nelle relazioni all’inaugurazione dell’anno giudiziario sono state dedicate a questo fenomeno e l’insistenza con cui il pm Ettore Squillace Greco ha negli anni scorsi puntato i riflettori sui traffici di stupefacentti nel porto di Livorno. Del resto, parlano i numeri: i traffici illeciti si nascondono meglio là dove si può disporre di linee collegate con i porti internazionali di invio e si può contare su un viavai di migliaia e migliaia di contenitori ogni giorno. Certo, se i teu si misurano col il metro delle decine invece dove ti vuoi nascondere…

Anche in porti di Livorno e Genova, insomma, il flusso di stupefacenti è ugualmente abbastanza rilevante ma la grande criminalità non ha interesse più di tanto a mostrare i muscoli: semmai, al contrario, a rendersi “invisibile” ai radar delle indagini e tutt’al più mettere sotto scacco o coinvolgere singole figure. Le organizzazioni hanno bisogno di una struttura locale basata soprattutto su una manovalanza scaltra, un gruppetto in cui c’è chi è in grado di conoscere il posizionamento di quel container sul piazzale, conosce quali sono le aree coperte dalle telecamere, com’è predisposta la sorveglianza soprattutto da remoto, quali “buchi” nell’organizzazione pratica del terminal si possono sfruttare. Dunque, più “invisibili” che potenti e capaci di mettere le mani sul porto.

Ricopiando un po’ quel che avviene nell’economia legale, ecco che le cosche utilizzano la logica del subappalto che sposta i rischi penali sulla “cooperativa criminale” locale (e comunque spesso, evitando l’aggravante mafiosa, consente di limitare i danni se pizzicati dalle forze dell’ordine). L’allarme sociale si riduce e, a meno che il pm non riesca a portare le prove degli ordinativi della grande criminalità, anche l’ “appeal” si riduce allo smantellamento di una gang di piccoli delinquenti senza importanza, una come un’altra…

Controlli antidroga in porto a Livorno da parte di Guardia di Finanza e Dogane

Meglio rapidi ed invisibili più che “le mani sul porto”

Come diceva una fonte interpellata in una inchiesta per “Il Tirreno” in occasione di uno dei numerosi sequestri di cocaina: «Ho partecipato a molte cene in cui si decideva chi faceva cosa, ma riguardavano gli equilibri di potere nel porto che sta alla luce del sole. I boss non li ho mai visti, e a esser sinceri nemmeno penso che avessero in mano qualcuno dei miei commensali e lo usassero come burattino. Semplicemente, meno davano nell’occhio e più potevano sperare di farla franca».

Anche a Livorno ci si è accorti qualche tempo fa anche di un altro metodo utilizzato nel narcotraffico. La mattina di un venerdì di inizio maggio 2017 fra la Terrazza Mascagni e le acque davanti all’Accademia  Navale vengono visti galleggiare in mare tanti zaini neri: all’interno i panetti di cocaina. Ciascuno con il suo beffardo simbolo della Porsche, in tutto due quintali. Chissà che non ci combinasse qualcosa l’andirivieni di una serie di giovanotti indaffarati che il Primo Maggio erano stati visti fare la spola avanti e indietro sul lungomare: magari in nervosismo con cui guardavano il mare non era solo uggia per la nuvolaglia del maltempo all’orizzonte…

Mauro Zucchelli

 

Pubblicato il
13 Settembre 2025
di MAURO ZUCCHELLI

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