Nei porti manette e zone grigie
LIVORNO – Il nostro mestiere è quello di fare la cronaca. E la deontologia professionale, che per un anziano come me ancora vale, stabilisce che le notizie vadano distinte dalle opinioni.
Mi adeguo. Dunque la notizia nel complesso è che ci sono cinque presidenti di Autorità portuale di sistema che sono stati sospesi per ordine della magistratura penale – con i loro segretari generali, e con imprenditori marittimi privati anche di gran nome – e altrettanti o quasi indagati. L’associazione dei presidenti delle AdSP, cioè Assoporti, è boccheggiante, sta rivedendo il proprio statuto, ma ha ancora da capire quanto può essere – o deve essere – ascoltata dal governo. E c’è da sanare, se possibile, la secessione siciliana. Infine: almeno una parte delle inchieste con cui la magistratura ha infilzato i presidenti delle AdSP sono partite da segnalazioni o denunce dell’Autorità marittima.
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Fine delle notizie. Ora, se permettete, passo alle opinioni. Che sono in parte mie, in parte raccolte dal cluster. Per capire, bisogna tenere le orecchie aperte; scindendo il grano dal loglio, come si diceva in campagna.
Uno dei (tanti) problemi che l’ultimo ritocco alla riforma portuale 84/94 ha lasciato irrisolto è quello della dicotomia tra Autorità marittima e Autorità portuale. Nella sostanza: i direttori marittimi, come comandanti delle capitanerie, fanno parte dei comitati di gestione portuale solo come osservatori (senza diritto di voto) al di fuori delle questioni di sicurezza. Un “vulnus” che le Capitanerie non hanno mai digerito: e che sta alla pari con l’altro “vulnus”, quello che tiene fuori i sindaci delle città portuali dagli stessi comitati. Si può discutere a lungo sul perché di queste scelte della politica nazionale: ma il risultato è che l’incrocio e le sovrapposizioni di competenze e di poteri finisce spesso per creare contrasti, ritardi di scelte, o addirittura contrapposizioni. Da almeno un lustro si chiede di risolvere il problema, chiarendo competenze in modo che non ci siano “zone grigie”: ma da Roma, solo il silenzio del “Deserto dei tartari” dalla fortezza Bastiani (ricordate lo splendido e amaro romanzo di Dino Buzzati?).
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Fine anche delle considerazioni. Ma non possiamo non chiederci quanto possa andare avanti una realtà portuale nazionale come questa: squassata dalle indagini della magistratura, impoverita dal disinteresse dello Stato, con i presidenti ancora a piede libero che, come mi diceva con amaro sarcasmo un segretario generale, potrebbero riunirsi in un tavolo da bar; e per di più “sculacciata” dalla secessione del sud in ambito Assoporti. In questo metaforico tintinnar di manette, davvero nessuno al governo sente la necessità di intervenire, chiarire, riformare in via definitiva e senza più “zone grigie”?
Antonio Fulvi
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