(a cura di Antonio Fulvi)
“Fatti e personaggi attorno alle acque della Salute”
(di Silvia Menicagli Di Batte)
Per l’editrice L’Informazione, ecco 120 pagine che fanno la storia – ma anche le cronache – prima dei fasti e poi dell’ingloriosa fine di quella che fu, all’inizio del 1900, la “Montecatini del mare”, ovvero il complesso delle acque della salute nell’antica zona di periferia di Livorno detta del corallo (dove infatti lavoravano i tanti laboratori artigianali che trattavano il corallo grezzo).
Silvia Di Batte, laureata in biologia e appassionata ricercatrice di cose labroniche, ha tracciato una ricostruzione rigorosa ed appassionata di quel “miracolo labronico” che furono i pozzi di acqua salmastrosa e sulfurea scoperti prima per caso e poi per una ricerca più imprenditoriale; e che portarono alla commercializzazione dell’”acqua del Corallo”, venduta anche nel resto d’Europa e premiata per le sue qualità anche con la medaglia d’oro del Salone internazionale dell’Igiene a Parigi.
Come spesso è successo a Livorno, la scoperta e l’utilizzo commerciale delle qualità curative dell’acqua dei pozzi nella zona del Corallo rimase una faccenda tutta locale, con risvolti anche incredibilmente ingenui (i primi proprietari dei pozzi si facevano pagare pochi spiccioli per far ”bere a volontà” i clienti, che avevano anche diritto a portarsi a casa “un fiasco d’acqua” per uso familiare) fino a quando l’affare non fu fiutato da una società ligure, che si mise sul mercato in grande.
All’inizio del 1900 fu realizzato il grande stabilimento termale di cui oggi sono rimasti solo i ruderi, che venne frequentato dalle più note personalità di allora, compresi poeti, letterali, principi e addirittura i sovrani d’Italia. Il tramonto di questo mondo insieme effimero e dorato avvenne con la guerra, i bombardamenti a tappeto delle superfortezze volanti Usa, e il saccheggio successivo delle truppe tedesche in ritirata. Un insieme di fattori distruttivi da cui lo stabilimento e le sue splendide costruzioni non si sono più risollevati. Il libro è completato anche da una parte iconografica che mette insieme schizzi costruttivi e vecchie fotografie, insieme alle cartoline d’epoca, testimonianze spesso ingenue di una Livorno che fu.
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“Livorno 1606-1806: luogo d’incontro tra popoli e culture”
(a cura del professor A. Prosperi)
Presentato alla biblioteca Labronica in occasione del 404º anniversario della proclamazione di Livorno come città, il prestigioso volume – edito grazie ai contributi del Comune e della Fondazione Cassa di Risparmi – raccoglie gli atti del convegno del 2006 per il 400º compleanno di Livorno. Il tutto a cura del professor Adriano Prosperi ordinario di storia moderna alla Normale di Pisa. Con lui, a parlare del libro ma anche della atipicità di Livorno città, sono intervenuti anche il sindaco Alessandro Cosimi, il presidente della Fondazione Cassa di Risparmi Luciano Barsotti e l’assessore alla Cultura Mario Tredici. Significativi infine gli interventi storici-analitici delle professoresse Elena Fasano e Lucia Frattarelli del dipartimento di storia dell’Università di Pisa.
Se l’analisi storica contenuta nel libro – insieme agli aspetti più cronacistici che ne rendono la lettura gustosa anche ai non addetti e a tratti sorprendente nella loro attualità – sottolinea come Livorno fu una “creatura artificiale” voluta dal potere di allora sulla base di un melting point delle “tre potenze” (politica, economia e cultura, leggi Jacob Burckhardt), il raffronto con la realtà odierna fa si che ci si debba interrogare su quanto hanno mantenuto attuali certe caratteristiche diremmo “somatiche” della livornesità e di Livorno anche dopo 400 e più anni.
Ci ha pensato il sindaco Cosimi, nel suo intervento a braccia, a ricordare che dietro la banalizzazione spesso inconscia sulle radici ma anche sull’oggi di Livorno, ci sono elementi di riflessione che possono spiegare anche scelte a prima vista incomprensibili o a loro volta banalizzate. “Così come la Fenice che risorge dalle sue stesse ceneri – ha citato Cosimi – Livorno e la sua gente hanno saputo tornare di volta in volta vitali dopo eventi (o anche “non eventi”) che sembravano dovessero segnarne la fine. Il sindaco ha definito la sua città come una “realtà d’incontri che oscilla in continuazione tra gli estremi”, una città costruita “sulle velocità di azione e reazione”, dove grazie anche all’incrocio di culture radicate nei secoli come quella ebraica, quella cattolica e anche quella dell’Islam, le aperture mentali sono state e rimangono in sostanza atipiche. Tanto che a Livorno – ha ricordato Cosimi – si sono stampati anche in epoche di stretti controlli dei vari poteri temporali e spirituali – libri che altrove non avrebbero potuto nascere (per tutti, una: la celebre Enciclopedia del Diderot). Queste radici insieme culturali, di tolleranza e di apertura – ha concluso il sindaco – spero ci aiutino oggi ad aprire una serena discussione proprio sull’oggi e sui suoi delicati momenti, senza cedere a quelle spinte della parte della città che il granduca Pietro Leopoldo aveva definito come “ignorantissima e da tenere a freno con leggi rigorosissime”.
Da parte loro il presidente della Fondazione Cassa di Risparmi Barsotti e l’assessore Tredici hanno voluto anch’essi ringraziare l’ex assessore alla Cultura Massimo Guantini, vero e convinto ideatore del convegno del 2006 da cui ha avuto origine il libro.
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“Acciaio”
(di Silvia Avallone)
Rizzoli Romanzi
Opera prima di una scrittrice esordiente, questo libro più che il racconto di due bambine – e delle loro famiglie – nel delicato passaggio tra la fanciullezza e l’adolescenza, è un grande e drammatico affresco della vita nei casermoni ultrapopolari della Piombino di ieri ma di oggi. Dove tutto ruota intorno alla fabbrica della Lucchini, dalla quale bene o male tutto dipende: il lavoro, la serenità familiare, il futuro dei cento microcosmi paesani; ma anche le ribellioni, gli atti di forza e le debolezze. E dove la differenza tra il bene e il male non è poi così netta e facilmente distinguibile come vorrebbero la legge e le tradizioni. Nemmeno trentenne, la scrittrice riesce in queste pagine a dare un quadro di terribile attualità anche sociale di un mondo operaio dove si nasce condannati e dal quale è pressoché impossibile uscire se non attraverso compromessi tragici. E di tragedie il libro è costellato, anche se sopra tutto – sopra le droghe assunte per mantenere il coraggio di svolgere lavori alienanti, sopra la scoperta delle ambiguità sessuali, sopra i miti della lotta di classe travolti dalla più squallida quotidianità, sopra gli incidenti mortali – emerge l’inno alla vita che giovani e non giovani continuano a privilegiare. Un inno alla vita che è anche all’amore e ai sogni. Compreso il sogno di una vita migliore, immaginata attraverso gli stereotipi forniti dai turisti che passano dal porto, dove l’isola d’Elba perennemente irraggiungibile benché all’orizzonte è per tutti il paradiso o almeno il Nirvana.