Perché no chiediamolo al polpo…
LIVORNO – Prima di tutto lasciatemelo dire: povero polpo. Anzi, poveri polpi. O meglio: poveri polpi elbani. Perché per quanto giocherelloni, intelligentissimi e con un sistema nervoso sviluppato quasi come quello umano, all’Elba i polpi sono apprezzati più che altro lessi, con o senza patate. Fino a pochi anni fa chi arrivava a Portoferraio in barca trovava in darsena anche i venditori ambulanti di “granfiette”, cioè di tentacoli di polpo cotti all’elbana. Altri tempi? Va bene, allora date un’occhiata su Google: ci sono più ricette di polpo che di spigola.
Adesso poi, scoperto dai soliti tedeschi che i polpi elbani possono avere doti divinatorie, come l’oracolo di Delfi o la Sibilla cumana, per loro davvero butta male. Perché finire mangiati è nelle cose della natura (dagli elbani, dai turisti più spesso da qualche murena) ma essere schiavizzati in un acquario – per di più tedesco – per vaticinare sulle partite di calcio, o magari sulla Borsa o peggio ancora sulla politica, è davvero una tragedia polpesca.
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Del resto, l’uomo ha sempre avuto un rapporto poco felice con il polpo. Già da come l’ha battezzato: octopus vulgaris. Un mio amico polpo della Capraia – gli faccio visita ogni estate e lui mi fa l’occhiolino dalla tana dietro gli scoglietti delle Formiche – proprio quel vulgaris non lo tollera. Volgari sarete voi – mi dice in linguaggio polpesco, che s’impara solo con lunghe frequentazioni – così stupidi da credere le peggiori fole; compresa quella che possiamo leggere il futuro. Se così fosse – aggiunge ogni volta – tutte le murene sarebbero morte di fame da tempo, e noi polpi saremmo i padroni dell’universo. In quanto al calcio, beh anche Marcello Lippi viene spesso a Capraia e all’Elba, è un buon amico: credi che gli avremmo fatto fare quella figuraccia?
A conoscerli davvero, i polpi, non si può trattarli con sufficienza. Molluschi cefalopodi estremamente evoluti, popolano il Mediterraneo e l’Atlantico e sono noti dall’antichità. I greci li mettevano tra le divinità del mare, i romani – gente rozza ed eminentemente terrestre – li combattevano e li temevano. Nelle Storie di Tito Livio si racconta che certi polpi furbissimi e grandi “come una botte” saccheggiavano regolarmente le peschiere, i depositi di sardine sotto sale e nottetempo persino i vigneti. Victor Hugo ne “I lavoratori del mare” inventa la fola del duello mortale con una piovra, cioè un polpo un po’ troppo cresciuto.
In realtà il polpo può arrivare a 10 kg e a un metro di lunghezza, ma è timidissimo, evita l’uomo e se attaccato da un predatore si auto-amputa uno degli otto tentacoli e scappa via a reazione in una nuvola d’inchiostro. Sissignori, va a reazione, sparando l’acqua da un sifone: il che significa che quel tipo di motore l’ha perfezionato lui millenni prima dei tedeschi della Messerschmitt con il rivoluzionario (per il 1943) Me 262. Che sia intelligente del resto basta guardarlo negli occhi, con la loro pupilla come quella umana. Oppure osservarlo quando si mimetizza nella tana, coprendone l’ingresso con sassolini e alghe come se costruisse una porta. Tutto: ma per favore, non pretendiamo che s’intenda di calcio. Il mondo polpesco ha ben altre ambizioni: la prima delle quali non finire in pentola, o peggio in un acquario tedesco, così lontano dalle libere e limpide acque di casa. Con il rischio che adesso, finiti i camminati di calcio, non lo chiamino a vaticinare su altre contese che ai tedeschi interessano assai. Chessò, chi la spunterà nel ciclopico scontro per la Darsena Toscana tra Cilp di Livorno ed Eurogate di Amburgo…
Antonio Fulvi
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