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Gl’inchini e la sicurezza per decreto

LIVORNO – A nessuno piace esser tacciato di grillo parlante (tanto meno di finir spiaccicato da un Pinocchio qualsiasi). Ma confesso che il decreto “anti-inchini” preannunciato da due ministri tecnici dell’attuale governo, Clini e Passera, mi ha fatto l’effetto delle famigerate grida manzoniane. Platoniche, quando inaccettabili e comunque inutili. Possono servire, al massimo, a titillare le piazze: dando la falsa impressione di un decisionismo che dovrebbe invece occuparsi di ben altro.


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Seguitemi un attimo, se volete. Il decreto imporrà che le navi oltre 500 tonnellate di stazza – da crociera ma anche commerciali – non potranno avvicinarsi a meno di 2 miglia dalle isole delle aree marine protette. Saggia precauzione? A mio parere, solo un palliativo, anche perché già oggi con le norme vigenti un comandante di nave mercantile con la testa sulle spalle sta molto attento ad avvicinarsi, se non per ridossarsi in caso di burrasca. Vero che da decenni la pratica dell’“inchino”, cioè del saluto delle navi da crociera vicino alle isole più famose, è praticamente codificata e fa parte delle tradizioni marinare come il saluto tra navi che s’incrociano e l’ammainabandiera al calar del sole. Ma come tutte le cose di questo mondo, non è un decreto che possa impedire manovre sbagliate o stupidaggini umane: anche a 2 miglia dalla costa, specie al buio o con le false luci del crepuscolo, la possibilità di tagliare in due un peschereccio o un gozzo del bolentino è notevole. E ci sono scogli semiaffioranti – cito solo le formiche di Grosseto o l’Africhella – ben fuori dalle 2 miglia delle isole. Insomma, non si può codificare con una norma generale e generica (che fa parte del buonsenso di ogni comandante) una questione di sicurezza: che peraltro distrugge una lunga e bella tradizione. Lo si vada a dire alla casa dei marinai di Camogli, dove ogni “inchino” di nave da crociera è un rito che vale più di una santa Messa.

Se il decreto delle 2 miglia è quantomeno platonico, altri provvedimenti annunciati sembrano addirittura pericolosi, o comunque più che discutibili: come quello che riguarda il bacino di San Marco e il canale della Giudecca di Venezia, che saranno vietati ai cruisers oltre 40 mila tonnellate, che nei suddetti canali navigano in piena sicurezza letteralmente “ingabbiati” da rimorchiatori e mezzi nautici di controllo (in compenso si farà un bel danno al turismo); o peggio ancora, come il minacciato obbligo di “canali di rotte” obbligate nel santuario e nelle zone vicine ai parchi, con il rischio di convogliare tutte le navi in brevi spazi (e non siamo come in cielo, dove basta scaglionare le quote per essere sicuri). Infine fa un po’ sorridere l’ultimo obbligo: quello che per le navi che attraversano il Santuario dei Cetacei (che cosa sia poi e quali protezioni abbia ad oggi nessuno lo sa) dovranno essere utilizzati “particolari sistemi di ritenuta del carico”. Vuol forse dire che il rizzaggio in coperta dovrà essere doppio o triplo, mentre in altre zone di mare chissenefrega per il carico rizzato nel solito modo?

Insomma, ce n’è abbastanza per suscitare più d’una perplessità. E pazienza se fossero le solite sparate dei politici che poi, “passata ‘a nuttata”, spariscono senza lasciar traccia. Qui si tratta di provvedimenti che incidono pesantemente sull’economia: delle compagnie di navigazione, sul turismo, sui costi e sui tempi di navigazione. Nessuno contesta che la sicurezza debba venire per prima cosa (safety first, dicono gli inglesi); ma per favore, in modo ragionevole, facendo fare ai tecnici e non alla vulgata.

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
7 Marzo 2012

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