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Già sordina sul blitz veneziano?

TRIESTE – Una raffica di commenti, anche feroci sul momento, ma poi sembra che il blitz veneziano sulla piattaforma off-shore munificamente finanziato attraverso la lobby Ciaccia-Costa-Brunetta sia già finito nella sordina. Una vicenda che imbarazza: e tanto imbarazza che anche Assoporti, dopo la prima uscita a muso duro del presidente Merlo, ha fatto – come leggete a fianco – una poco onorevole retromarcia lasciando allo scoperto solo il coraggioso Galliano Di Marco di Ravenna. Formule di circostanza, e nebbiogeni a tutto volume.
[hidepost]Eppure il caso Venezia dovrebbe aiutare a riflettere su ciò che sta avvenendo sul cluster marittimo italiano, tra il Tirreno e l’Adriatico, anche in relazione a quanto si muove nel mediterraneo. Non abbiamo certo la presunzione di inquadrare in un breve commento una realtà così complessa; ma qualche dato di fatto può aiutare a capire.
Partiamo dai costi dei porti. Calcolati a spanne – ma pur sempre nell’attendibilità – i costi dei porti italiani del Tirreno sono superiori del 20% a quelli dei costi italiani dell’Adriatico: con una densità media di scali che non ha eguali in paesi più organizzati – leggi il Nord Europa, per fermarci al vecchio continente – dove gli Stati hanno giustamente fatto scelte strategiche, concentrando investimenti e specializzazioni in pochi grandi scali dove la produttività è diventata altissima senza sacrificare i lavoratori.
Continuando nei confronti, sulla sponda Est dell’Adriatico stanno rapidamente crescendo porti sloveni e croati che hanno, rispetto agli scali italiani più vicini, costi più bassi di un altro 20% almeno. Il paragone tra Trieste e Koper, distanti poche manciate di miglia, è illuminante. E infatti quest’anno Koper si appresta a chiudere i bilanci dei Teu a quota vicina a 600 mila contro i poco più di 400 mila di Trieste, che soffre non tanto di minor produttività o di strutture inadeguate, ma anche e specialmente di costi burocratici infinitamente più alti, e di costi energetici tripli o quasi.
In questo quadro – e scusatemi se la sintesi è grossolana – progettare la costruzione dell’ennesima mega-struttura a finanziamento pubblico nel cul-de-sac del Nord Adriatico, che si presuppone costerà non solo i 100 milioni stanziati ex Mose ma altre svariate centinaia di milioni, sembra davvero uno degli assurdi più incredibili della pur incoerente politica portuale italiana: Venezia vuole una “compensazione” per la chiusura (parziale) della laguna causa Mose? Può anche essere una legittima richiesta, seppure tutti abbiano creduto che il Mose sia per salvare Venezia e il suo essere gioiello dell’umanità, ed eventuali compensazioni debbano venire proprio per accentuare questa caratteristica, non certo per fare un altro porto commerciale da grandi navi che bene non farà certo né alla laguna né al territorio. Quello che davvero non convince è perché, se lo Stato trova centinaia di milioni per una portualità adriatica da far crescere, non li debba concentrare proprio su Trieste e magari anche Ravenna ed Ancona, dove grandi compagnie internazionali di containers operano da anni anche con finanziamenti propri e sono costrette a veder crescere i porti sloveni e croati addirittura con finanziamenti UE che noi non riusciamo ad agganciare.
Qualcuno ha detto che Trieste non ha gli spazi a terra di Venezia? Un altro assurdo, visto che ci sono aree da anni non utilizzate, quelle del vecchio porto-emporio con i magazzini fatiscenti e semivuoti, che basterebbe ammodernare: e visto che con i collegamenti ferroviari in corso d’opera Trieste è in grado di avere un retroterra enorme in buona parte della Mittel-europa. E gli spazi di Venezia? Forse le ex aree di Marghera, che comunque richiederebbero un secondo terminal di collegamento a quello off-shore, con rotture di carico che si dice costerebbero almeno 200 euro a teu?
Stupisce, come dicevamo, che la improvvisa burrasca dopo la scoperta del blitz di Costa/Ciaccia/Brunetta abbia subito messo la sordina. Tanto da far pensare che anche la nuova articolazione di Assoporti, alla fine, più che spendersi per una portualità nazionale coerente e produttiva, sia anch’essa vittima delle logiche di potere politico. Sperando di sbagliare: e di averne al più presto la prova.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
24 Novembre 2012

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