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Jolly Nero la tragedia e le realtà

GENOVA – Avrebbe ragione il presidente di Assoporti – e dell’Authority genovese – Luigi Merlo a chiedere che oggi sia il tempo del silenzio, in attesa di conoscere i perché.
[hidepost]Ma di fronte all’incredibile tragedia del Jolly Nero che polverizza la torre dei piloti durante la manovra in porto, è davvero difficile una tale auto-disciplina: si piangono una decina di morti, ci si chiede come e perché sia stato possibile, si riparte con la discussione sull’opportunità di avere una torre (e relativa palazzina) proprio sul ciglio della banchina nel bacino di evoluzione delle navi. Insomma: chiedere il silenzio è umanamente comprensibile, ma sul piano pratico assurdo. Basta guardare sul Web le migliaia di commenti, richieste, accuse e maledizioni per capire che non è possibile.
E allora non ci rimane che superare la cronaca – il tragico evento è stato già sviscerato su tutti i quotidiani, le reti Tv, lo stesso Web – aggiungere il nostro dolore e rispetto per le vittime alle tante espressioni che ancora ci piovono in redazione (da Assoporti alle Capitanerie, dai piloti di tutti i porti alle istituzioni territoriali, dall’armamento nazionale e internazionale fino ovviamente al Governo) e cercare di capire se tutto questo potrà e dovrà insegnare qualcosa di più per la sicurezza dei nostri porti.
Probabilmente potrà e dovrà farlo. Di situazioni potenzialmente a rischio ce ne sono a dozzine nei nostri porti: specie in quelli dove si utilizzano strutture che sono nate centinaia di anni fa, quando le navi, la navigazione e i mezzi tecnici di supporto erano parametrati sui velieri o sui primi vapori. Oggi abbiamo porti in cui le più moderne portacontainers si infilano letteralmente con la vasellina per arrivare alle banchine di destinazione. Abbiamo porti dove le navi gasiere – vere e proprie potenziali bombe, come tutti sappiamo – sfiorano in canali interni non solo altre navi all’ormeggio in banchina, ma rasentano quartieri cittadini di alta densità abitativa (anni fa a Livorno una di queste navi prese fuoco e ci volle l’abilità e il sangue freddo del pilota Orrù per portarla fuori dal porto mentre bruciava). Abbiamo porti dove le grandi navi da crociera sfiorano letteralmente pontili galleggianti con centinaia di barchette, e basterebbe un errore di venti metri per fare una strage. Abbiamo porti…. Ma è meglio fermarci qui. Perché il dramma nel dramma è che molte di queste realtà potenzialmente pericolose sono ben conosciute da chi deve vigilare, ma hanno una contropartita economica – posti di lavoro, sviluppi dell’economia locale, concorrenza – alla cui offerta è impossibile dire di no. C’è dunque chi si arrabatta a cercare palliativi di sicurezza, chi si affida all’indubbia capacità professionale di piloti e rimorchiatori, chi si raccomanda alla Madonna e spera nel meglio.
Poi ci sono gli ingenui che aspettano – aspettano da anni e forse aspetteranno fino alla fine della loro vita – che questo Paese capisca davvero l’importanza della logistica portuale; e diventi capace di pianificare porti con strutture davvero adeguate alle navi moderne, investendo in intelligenza, tecnologia e finanza invece di limitarsi a strizzare i porti e i loro operatori per ripianare gli infiniti buchi di una gestione dello Stato a dir poco dissennata. Ce lo diciamo, lo so, ad ogni sinistro marittimo o portuale. Poi, passata la buriana e pianti i morti, torniamo al metodo del Gattopardo: cambiare tutto a parole perché niente davvero cambi. E alla via così.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
11 Maggio 2013

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