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“Stati generali” atto secondo: le Authorities dei porti come Spa

Il ministro ha di nuovo convocato i “saggi” a tema – Il problema dei finanziamenti e della garanzia contro i raid stranieri – Le previsioni di crescita degli scali del Mediterraneo entro il 2030

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ROMA – “Stati generali dei porti”, capitolo secondo. Lunedì prossimo, tra due giorni, il ministro Maurizio Lupi incontrerà di nuovo la super-commissione dei 15 per il proseguo del dibattito sulla riforma della riforma. Ma questa volta, sfoltito il subisso dei temi, c’è un punto focale da affrontare: la privatizzazione delle Autorità portuali e la loro trasformazione in Spa.
Ancora una volta a Roma si lavora (sembra in maniera seria; e comunque certamente frenetica) per arrivare a un risultato. Ma il tema delle Spa è tosto: tanto che più di privatizzazione – un termine che comporterebbe immense problematiche anche sul piano istituzionale: molti ricordano che quando l’UE cancellò la “golden share” varata da Monti come aiuti di Stato si è passati alla “golden power” che comporta l’assenso della presidenza del consiglio per ogni reale privatizzazione – oggi si parla di una proposta di “socializzazione” dei porti attraverso le Spa.
[hidepost]Tecnicismi esasperati? Mica tanto. Il ministro è stato chiaro nella convocazione per lunedì della commissione dei 15: occorrono “concretezza e innovazione”. Ed è stato altrettanto chiaro – dicono le indiscrezioni – nel sottolineare che le proposte giunte dai 15 rispondono ai criteri di concretezza ma non completamente a quelli di innovazione. Tradotto: le Authorites portuali così come sono non funzionano, vanno cambiate. Come? Scartata – e non potrebbe essere altrimenti – la suggestiva ma impossibile soluzione del passaggio delle Authorities ai Comuni (c’è chi ha proposto addirittura che il loro 70% passi ai Municipi: che peraltro non hanno una lira e quindi il discorso si chiude) il problema di fondo sembra essere quello di garantire che nella trasformazione in Spa i porti non diventino preda di gruppi d’investimento stranieri, che con la forza delle finanze (siano essi dollari, rupie, renminbi o dirham) arrivino a scardinare il controllo non solo dei singoli scali, ma anche della intera programmazione della portualità nazionale. Non è un tema da poco, perché in una realtà nazionale (e potremmo dire europea) dove la ricerca di investitori internazionali è necessaria, cercare di conciliare l’esigenza di forti investimenti nei porti al mantenimento di un controllo dello Stato sui suoi assets strategici è un tema forte e di difficile soluzione.

* * *

E mentre a Roma ci si confronta sulla governance del sistema, c’è chi ricorda che il sistema stesso ha necessità urgenti e significative di risorse, se non vuole essere travolto. In un Mediterraneo che sta tornando ad essere appetibile per i grandi network navali (visto che sul Baltico e sui mari del nord le più stringenti normative ambientali cominciano a incidere per circa 100 dollari a contenitore, mentre sul Mediterraneo se ne parlerà dal 2020) è stato calcolato che l’evoluzione dei traffici marittimi sarà a percentuali a due cifre entro il 2030. Da uno studio di Price Waterhouse Cooper & Mds Transmodel (vedi tabella in 1ª pagina) emerge che i traffici marittimi per il Napa cresceranno nei prossimi 15 anni del 227%, quelli dei porti del Tirreno dell’81% e quelli del Mar Nero del 100%, mentre gli scali del nord Europa, che pure rimarranno prevalenti, rallenteranno con aumenti di solo il 42%. Un’occasione storica per i nostri porti, sia in Adriatico che sul Tirreno. Ma occorrono importanti investimenti: e specialmente un “progetto” che razionalizzi, velocizzi e chiuda un’epoca di soldi buttati via a pioggia. E’ questa la grande sfida di Maurizio Lupi, di Matteo Renzi e dei loro. E da vincere in tempi ormai in scadenza più che ravvicinata.

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Pubblicato il
14 Febbraio 2015

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