Ecco il Delrio-pensiero sulla riforma: meno ai containers e più fondi al sud
Il principio dei “sistemi logistici” concentrati, le risorse sempre più ridotte da concentrare e i commissariamenti delle Autorità in scadenza- Le polemiche a Livorno sulla piattaforma Europa

Matteo Renzi

Graziano Delrio
ROMA – Viste dal Potere – e mai come in questo periodo Roma è Caput Mundi se non per la capacità decisionale almeno per le ambizioni d’esserlo – le sorti della riforma della riforma portuale stanno annodandosi intorno a una serie di principi, tutti legittimi ma in gran parte di rottura.
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Il primo principio: il ministro Delrio va rivendicando – con garbo tutto renziano, se si può usare un eufemismo – una propria “autonomia di pensiero” rispetto al lavoro fatto svolgere dal suo predecessore Lupi alla famosa (e ormai disinnescata) “commissione dei 15 saggi”.
[hidepost]Ed ha rimesso a bollire la minestra affidandola ai suoi “saggi”: che si scoprirebbe sarebbero in gran parte giovani teste d’uovo prettamente orientate al meridionalismo, con il pallino che la missione del governo attuale dev’essere quella di rivalutare le strutture del sud, anche sul piano portuale. Pare che sia anche l’idea del Grande Capo, quindi da istituzionalizzare.
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Il secondo principio: ovviamente è tutto da verificare, perchè i giudizi sono sulla base delle impressioni. Ma tra queste avanzano con crescente attendibilità quelle secondo le quali il ministro e i suoi considererebbero eccessiva l’importanza attribuita fino ad oggi i traffici dei contenitori – e quindi alla programmazione di forti investimenti pubblici in questo campo – rispetto a quella di altri tipi di traffici, a cominciare dal ro/ro (Autostrade del mare). Da qui si comprenderebbe anche meglio perché questa improvvisa vocazione per il sud, che sul piano della portualità potrebbe diventare la testa di ponte dei traffici europei una volta che il Maghreb superasse l’attuale caos e diventasse – come ipotizzano i grandi economisti – la nuova Cina della crescita.
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Terzo principio: che non ci siano risorse pubbliche su cui scialare è evidente, dunque gli investimenti – i pochi possibili, che avanzerebbero dalla priorità assegnata a ferrovie e raccordi superstradali – dovranno venire in particolare dall’oculato utilizzo di quelli UE, sulla base della pianificazione europea. Vuol dire che tornerebbe a valere il principio della forte concentrazione dei porti in “sistemi” specializzati, con una Agenzia nazionale (o se volete una Super-Authority) che dovrebbe gestire da Roma la politica portuale anche nei singoli “sistemi”, lasciando alle Autorità portuali superstiti (poche: da decidere quanto poche davvero) l’esecuzione delle direttive dal centro, con presidenti trasformati pressochè in proconsoli.
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Il tutto, in ogni caso, “congelato” nelle grandi scelte fino a settembre, quando – passata la bufera delle elezioni regionali e resettato il sistema parlamentare come chiede Renzi – si potrà dare il via al DPT di matrice Delrio. Nel frattempo, aumenteranno i porti commissariati alla normale scadenza degli attuali presidenti: gli ultimi due sono Napoli e Gioia Tauro, sui quali si è tagliata la testa al toro (e alle tante pressioni politiche per questo o quello) affidandosi a due ufficiali delle capitanerie, il contrammiraglio Antonio Basile (Napoli) e il capitano di fregata Davide Barbagiovanni Manciullo (Gioia Tauro).
Nel cambio della guardia a Gioia Tauro, il presidente uscente ingegner Giovanni Grimaldi ha voluto indirizzare il seguente saluto: “Desidero anzitutto augurare buon lavoro al nuovo commissario, ma vorrei anche ringraziare i dirigenti, i quadri e tutti i dipendenti dell’Autorità Portuale per l’apporto professionale offerto all’ente, che si è rivelato essenziale per lo svolgimento, negli anni, dell’attività tecnico – amministrativa” – ha scritto Giovanni Grimaldi, che ha guidato l’Autorità portuale di Gioia Tauro dal 2006 – “Desidero evidenziare inoltre che lascio un Ente in ottima salute. Dal 2006 ad oggi tutti i bilanci sono stati approvati dai competenti Ministeri senza osservazioni e sempre in attivo”.
Resta da capire se il ricorso agli ufficiali di Capitaneria sia il nuovo metodo Delrio per distinguersi da quello di Lupi. E se quindi il principio varrà anche per altri porti, da Taranto che ha i suoi guai a Livorno dove a fine mese scade anche la proroga del presidente Gallanti, marcato stretto da una martellante campagna dei Cinque Stelle” e della loro candidata Nicoletta Batini, in questi giorni straripante sui media (con tanto di minacce di querele da parte di Gallanti e dei suoi in tema di piattaforma Europa). La scadenza di Livorno è quasi in contemporanea con analoghe scadenze a Civitavecchia (dove il Comune ha riaperto il bando per la designazione della sua “terna”, annullando quella che tra l’altro avrebbe puntato anche sul nome del comandante De Falco, “eroe” della Concordia) e a Genova per le note vicende.
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Ovviamente, in attesa di linee ufficiali e precise, si avanzano ipotesi su tutto e il contrario di tutto. L’eventuale commissariamento di Livorno con il comandante del porto, contrammiraglio Arturo Faraone fa parte delle più recenti ipotesi. Ma qualcuno sottolinea che Faraone rimarrà solo pochi mesi a Livorno perchè è già in lista di promozione e di trasferimento al comando di Napoli. Opportuno dunque un commissario già con un piede altrove? Ancora: ad autunno va in pensione anche il comandante generale delle Capitanerie ammiraglio di squadra ispettore capo Felicio Angrisano, che sarà quasi certamente sostituito dal parigrado ammiraglio Melone. E conoscendo Angrisano, è difficile che non venga utilizzato per qualche porto dove c’è troppa riffa di candidati, per segnare una discontinuità con la partitocrazia che in questi tempi si agita anche all’eccesso.
A cercare il bandolo della matassa con dichiarazioni ufficiali a livello di governo, è come votarsi a farsi raccontare favole. Del resto, non è mai tramontato (e difficilmente tramonterà) il celebre aforisma del grande Pajetta: “Tra i principi in cui credo e la verità, scelgo sempre i princìpi”.
Antonio Fulvi
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