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Dall’Allegato Infrastrutture a settembre le strategie sui sistemi portuali italiani

Usciranno in quel rapporto tutti i piani d’investimento di competenza del MIT – In pole position gli scali del sistema “core” UE

Abbiamo chiesto a Nereo Marcucci, presidente di Confetra e tra i 15 “saggi” che hanno operato sul documento di governance per la riforma portuale, una sua analisi sullo stato dell’arte della riforma stessa. Ecco la sua nota.

Nereo Marcucci

ROMA – Il silenzio del nuovo ministro delle Infrastrutture e Trasporti è solo apparente. Per Lui parlano in modo chiaro ed esplicito il “programma delle infrastrutture strategiche” allegato al documento di economia e finanza 2015.
L’allegato prevede che in settembre sia presentato un DPP, documento pluriennale di pianificazione, del quale vengono ben definiti sia il perimetro che i paletti.
Sarà uno strumento per “rendere coerenti tutti i piani di investimento per opere pubbliche di competenza del MIT”. In vista della definizione del DPP “saranno valutate le opere portuali e logistiche necessarie al perseguimento delle strategie che saranno definite per ogni sistema portuale incluso nelle reti TEN” sulla base “dello stato di avanzamento e della possibilità di prevalente finanziamento con capitale privato”.
[hidepost]Tutto ciò è coerente con la condivisione a parte del nostro Paese – durante il semestre di Presidenza italiana della destinazione ai porti definiti “core” cioè ritenuti essenziali dalla UE al funzionamento virtuoso del mercato europeo e all’interscambio con gli altri continenti “delle disponibilità finanziarie del CEF, FESR, Fondo di coesione e BEI”. Purtroppo la disponibilità di 26.3 miliardi di euro lascia ai singoli Stati membri il compito di reperire i 250 mancanti.
I sistemi portuali e le loro opere strategiche “potranno essere meglio specificati nell’allegato infrastrutture di Settembre sulla scorta degli esiti del percorso di redazione del redigendo Piano della Portualità e della logistica”.
Sulla base delle predette linee strategiche, dello stato di avanzamento e della possibilità di prevalente finanziamento con capitale privato il PIS (piano infrastrutture strategiche) sarà aggiornato in un approfondito confronto con le Regioni.
Tutto chiaro e a mio parere condivisibile salvo vedere i testi finali.
Rimangono quindi aperte alle deduzioni soprattutto le questioni lasciate aperte dal precedente ministro e dal lavoro di revisione della commissione degli “esperti” coordinata da EY.
Quale strumento oltre il DPCM previsto dall’art. 29 per riformare la portualità e la logistica nazionali? L’urgenza e la necessità di presentare a Bruxelles al più presto un Piano per accedere alle risorse disponibili indicherebbe in un Decreto legge lo strumento appropriato. Nei successivi 60 giorni si arriverebbe a una riforma attesa da anni.
Quali investimenti saranno considerati prioritari da una cabina di regia nazionale forte?: semplificazioni, sburocratizzazioni e accorpamenti di funzioni verso una struttura one shop lasciano ben sperare. Per quanto riguarda l’hardware cioè le infrastrutture i principi enunciati includono ed escludono senza bisogno di puntute quanto inutili precisazioni polemiche. Sono in pole position i porti che sono parte del core network europeo, con Piani regolatori approvati che consentono la cantierabilità, che gravino solo parzialmente sul bilancio statale perché cofinanziati da altre entità come le Regioni e le Autorità portuali, che garantiscano un ritorno economico quindi che siano capaci di attrarre risorse private. Nella logica comunitaria è bene che abbiano effetto sistemico che siano cioè capaci di produrre un effetto virtuoso per dedicare infrastrutture alla domanda crescente di servizi di short sea (ro-ro) ed alla crocieristica.
Quale governance? L’insistenza sul termine “sistemi” lascia prevedere forti accorpamenti delle autorità portuali così come la nomina di commissari nelle AAPP. Peraltro pubblicamente motivata dai ministri con la necessità di non pregiudicare questo aspetto della riforma.
Nereo Marcucci

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Pubblicato il
9 Maggio 2015

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