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Le speranze di un piccolo grande passo

TARANTO – Potremmo metterla così: il governo questa volta ci ha messo tutte le buone intenzioni di mantenere gli impegni che nel passato sono stati traditi. Ma potremmo anche ricordare, come credo facciano gli azionisti del TCT cui bruciano ancora i suddetti tradimenti, che le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Proverbio antico e purtroppo sempre attuale.
[hidepost]Quando poi la bruciatura è costata oltre 160 milioni di perdite, ed ha trasformato il progetto di un grande “hub” in una specie di voragine di chiacchiere e di burocrazia autoreferente, c’è da comprendere se gli azionisti volessero tagliare il nodo gordiano con un definitivo colpo di spada; oppure, nell’ipotesi più buonista, rifugiarsi anch’essi dietro il vecchio scudo levantino del “pagare baschish e vedere cammello”. Dalla prossima assemblea c’è da aspettarsi il peggio o il meglio, ma in ogni caso non basterà una pre-intesa: “vedere il cammello” potrebbe legittimamente essere il minimo della richiesta.
Alla base di tutto non ci sono soltanto gli accordi del 2012, quando fu solennemente firmato un documento che prevedeva l’immediato inizio dei tanto attesi lavori di riqualificazione del terminal e il loro completamento nel 2015 (lavori che ad oggi non sono nemmeno cominciati). Alla base di tutto c’è stato un impegno nato almeno due lustri or sono, che aveva ipotizzato per Taranto un futuro da grande “hub” dei containers, coinvolgendo i cinesi di Evergreen che già si erano impegnati per l’acquisto-salvataggio di una delle storiche compagnie di bandiera italiane con gruppo Maneschi. Quella di Taranto è la storia di una delle più grandi speranze della portualità del meridione d’Italia e nello stesso tempo di una delle più grandi delusioni per l’incapacità dei governi nazionale e locale. Per rimediare non bastano, ovviamente le parole dei protocolli. Spes ultima Dea, ma bisogna prima di tutto dimostrare che il Paese ha cambiato davvero e sa finalmente guardare alla portualità e all’economia del mare. Un piccolo passo nel quadro geo-economico del Mediterraneo, un passo enorme per un’Italietta che ad oggi ha considerato i porti più che altro come poltronifici. Brutta immagine, ne convengo: ma l’amarezza di certi fallimenti non può non bruciare.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
16 Maggio 2015

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