IVA e porti: l’autonomia che non c’è
ROMA – E’ stato già scritto anche su queste pagine: l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha detto che il criterio di ripartizione del fondo di finanziamento per le infrastrutture portuali basato sull’Iva prodotta non è idoneo, crea sperequazioni “ed è in contrasto con i principi a tutela del mercato”.
[hidepost]Insomma, è una bufala che va eliminata. Il messaggio, è stato scritto, è andato diretto sia al ministero delle infrastrutture e trasporti, sia al Parlamento.
Reazioni? Per adesso zero o quasi ufficiali: solo il coro di chi, avendo già lamentato che in ogni caso si tratta di briciole (per garantirsi, la norma del 2014 stabilisce che in ogni caso i porti non possono ricavare da questa voce più di una novantina di milioni all’anno!) chiede a gran voce che si metta mano alla correzione.
E’ stato spiegato che l’Agmc sanziona il principio perché non aiuta i porti che esportano di più e tantomeno quelli che hanno più traffici: favorisce invece quelli che applicano più Iva avendo prodotti con più alta tassazione, come i petroliferi. Per di più alcune voci di Iva sono sottratte dai totali. Insomma, un pasticcio che tra l’altro è in contrasto con le indicazioni del Piano Nazionale della logistica. Urge correggere: ed è un’altra delle patate bollenti che gli estensori del testo definitivo della riforma della 84/94 si trovano tra le mani.
Secondo l’Agmc il criterio più semplice e più corretto dovrebbe essere quello di premiare, con quote ben superiori alla misera mancia sull’Iva, i porti che nell’ultimo triennio abbiano evidenziato un trend in crescita delle merci: e non solo di quelle importate, ma anche e specialmente di quelle esportate, che rappresentano la vera ricchezza per il Paese e il lavoro degli italiani.
Antonio Fulvi
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