Tutti i mali della riforma

L’ingegner Roberto Serafino, noto esperto del settore portuale, già docente universitario e membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha inviato ad alcune testate giornalistiche una interessante analisi sulle problematiche degli scali marittimi che ci sembra valga la pena di approfondire. Eccola.

ROMA – A seguito della disastrosa vicenda del ponte “Morandi”, oggi tutte le attenzioni sono concentrate sul porto di Genova; ma è l’intera portualità italiana che è in forte crisi ed ha bisogno di drastiche decisioni.

La funzionalità e l’efficienza della portualità italiana, oggi ai minimi termini, potrebbero avere un notevole impatto sull’economia e sull’occupazione dell’intera nazione.

Riporto qui di seguito in estrema sintesi i risultati di uno ampio studio, finalizzato a focalizzare i principali problemi della portualità italiana, e le possibili realistiche soluzioni.

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Tutti i porti e tutte le coste sono ritenuti di importanza strategica prioritaria dello stato italiano, e, quindi, sono proprietà (aree demaniali) direttamente gestite dello stesso, fino al 1994 esclusivamente tramite i cosiddetti “Consorzi del Porto” e/o le Capitanerie di Porto.

Il 01/01/1995, a seguito della L. 84/94, nei porti principali (24) furono istituite le Autorità Portuali, alle quali, tramite decreto legge, furono assegnate le aree di competenza esclusiva.

Con il D.L. n. 169 del 4/8/2016 sono state introdotte le Autorità di Sistema Portuale (AdSP).

La L. 84/94 fu frutto sia della inadeguatezza ormai palese della gestione dei porti, sia delle sollecitazioni provenienti dalla Comunità Europea, anche sulla base degli esempi di gestione dei porti a livello mondiale.

Un porto gestito adeguatamente, funzionale e funzionante, è, in genere, fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del territorio che lo circonda.

Va sottolineato che ogni porto ha caratteristiche uniche per banchine, fondali, disponibilità di spazi circostanti per attività legate al porto, per le caratteristiche (sociali, economiche, produttive, etc.) del territorio che lo circonda.

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Uno degli aspetti negativi della L. 84/94 era la composizione del Comitato Portuale: i rappresentanti istituzionali non superavano mai il 25 % dei votanti, mentre i restanti rappresentavano gli interessi locali, spesso tra loro contrastanti, che di fatto bloccavano la funzionalità dei porti.

La composizione del Comitato Portuale è cambiata con la riforma Delrio, passando da un polo al polo opposto, in quanto ora nel Comitato Portuale di gestione siedono solo le istituzioni, mentre i rappresentanti degli interessi locali hanno un ruolo del tutto marginale (puramente consultivo).

Appare logico che la via migliore sarebbe quella di mezzo, con la presenza in Comitato portuale anche delle parti sociali, ma in numero proporzionalmente adeguato (da discutere e definire; ad esempio potrebbe rivelarsi vincente un rapporto 60 e 40).

Un aspetto fortemente negativo della riforma Delrio è l’accorpamento di alcune Autorità Portuali; conseguenza è che, avendo ogni porto caratteristiche uniche e completamente diverse dagli altri porti, lo stesso presidente deve adottare, per ciascuno dei porti di competenza, politiche gestionali spesso completamente in contrasto tra loro. In realtà quello che avrebbe voluto essere un risparmio di risorse (limitato poiché consistente solo nel taglio dello stipendio di qualche presidente) ha creato in diversi casi una situazione praticamente ingestibile, con danno enorme per gli stessi porti coinvolti (Cagliari e Olbia, Napoli e Salerno, Bari e Brindisi, etc.).

Uno degli aspetti delicati è la durata del mandato dei presidenti e segretari generali (4 anni) rinnovabile una sola volta, cosa accaduta raramente: inevitabilmente, di conseguenza, i vari presidenti hanno considerato quasi esclusivamente interventi con effetto immediato, senza dedicare le dovute considerazioni e risorse agli interventi a medio e lungo termine, molto più complessi e fastidiosi, che portano risultati dopo diversi anni, ma che sono fondamentali per lo sviluppo della portualità italiana.

Questo è uno dei motivi per i quali i presidenti dovrebbero conoscere ed essere profondamente legati al territorio, nell’interesse del quale prendere decisioni ed effettuare scelte che avranno effetto quando il mandato sarà da tempo terminato.

Altro aspetto pesantemente negativo è la modalità di scelta dei presidenti, segretari e figure direttive finora impiegata. La L. 84/94 indicava “l’accertata competenza specifica”, ma nella realtà solo in rari casi sono state nominate persone all’altezza del ruolo da svolgere: in quasi tutti i casi sono state scelte persone in base a criteri di assegnazione per appartenenza politica, in genere figure assolutamente non competenti in materia, che purtroppo hanno spesso procurato seri danni, con enorme spreco di risorse.

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Appare evidente che si rendono necessari i seguenti interventi: 1) Scorporo di alcune Autorità di sistema portuale, come di recente è accaduto per Catania e Messina; ad esempio Brindisi va staccata dall’AdSP del MAM, costituendo semmai l’AdSP del Salento (con la situazione attuale, i porti di Otranto e Gallipoli saranno di fatto tagliati fuori da qualsiasi tipo di investimento e/o di traffico); 2) Scelta adeguata dei presidenti delle Autorità Portuali; 3) Nuova composizione del Comitato Portuale di gestione; 4) Centralizzazione di alcune attività presso il Ministero e/o C.S.L.P. (ad esempio analisi e ricerche di mercato, da mettere a completa disposizione di tutte le Autorità Portuali che potranno utilizzarle per quanto di loro interesse e semmai approfondendo solo alcuni punti).

Il 2° punto è certamente l’obiettivo più complesso e difficile da raggiungere.

Quale dovrebbe essere il criterio ottimale di scelta dei presidenti?

Ricordando che ogni porto ha, nel suo complesso, caratteristiche uniche, la via più logica appare innanzitutto quella di definire, per ogni porto, gli obiettivi da raggiungere e le attività da svolgere (compito che dovrebbe essere svolto a livello centrale, interfacciandosi con le realtà regionali e locali), e su tale base individuare le figure che hanno le maggiori possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati e svolgere tali attività, effettuando poi regolari e periodici controlli dei risultati conseguiti.

E non importa da chi, come e quanti candidati vengano segnalati: è fondamentale selezionare figure realmente adeguate.

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Infine appare indispensabile costituire un’istituzione a livello intermedio tra Ministro e Autorità Portuali (una sorta di “Comando” delle Autorità Portuali; il responsabile, cui risponderanno direttamente i presidenti delle Autorità Portuali, risponderà direttamente al Ministro).

L’esperienza ha dimostrato che il Ministro è talmente oberato da impegni ed oneri che è praticamente impossibile controllare le Autorità Portuali, che, di conseguenza, sono diventate delle repubbliche autonome, con norme spesso stridenti o addirittura in contrasto con le leggi dello Stato.

A tale struttura dovranno essere assegnati appositi compiti, come ad esempio: – Controllo della programmazione di ciascun porto (piano regolatore, varianti, ATF, stato dei singoli progetti, attendibilità e rispetto dei POT, etc.); – Definizione per ogni porto delle caratteristiche ottimali che il presidente dovrebbe avere ed a cui fare riferimento per la scelta del presidente dell’autorità portuale; raccolta e preselezione per ogni porto delle candidature, da sottoporre all’attenzione del Ministro per la scelta finale, in base alle procedure vigenti; – Programmi adeguati di formazione di tutto il personale, di tutti gli uffici, di tutte le Autorità Portuali; – Centralizzazione di alcune attività, da mettere a disposizione di tutte le Autorità Portuali.

(Roberto Serafino)

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