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Se l’ambiente è una variabile a rischio penale

LIVORNO – Sembrerà strano, ma sulla paradossale vicenda del “cold ironing” livornese c’erano state anche reali e amare preoccupazioni da parte dei vertici dell’AdSP finiti sotto inchiesta dalla Procura. Logico: essere accusati di un reato penale pesa. Specialmente quando si è certi di aver agito secondo la legge: quella europea, che spinge per le istallazioni delle forniture elettriche alle navi nei porti, quella italiana, che ha recepito le stesse, e le varie pressioni – lo  dice la sentenza stessa – da ministeri e cluster. Vero che l’impianto livornese, l’unico in Italia ad oggi, non è stato mai utilizzato. Ma non dipende certo dall’AdSP, quanto dal mancato adeguamento delle navi. E che il “cold ironing” rappresenti un’importante risorsa lo confermano anche i lavori per un analogo impianto programmato a Genova, e le realtà in Nord Europa, dove sui porti l’elettricità alle navi è realtà acquisita. Inoltre, risulta che sia stato fatto bene. Tanto che l’ingegner Motta, a suo tempo responsabile dell’operazione, era stato subito tolto dall’inchiesta.

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Commenti? Dice una vecchia massima che le sentenze non si commentano, si applicano. Perfetto. Però forse sarebbe il caso di non arrivare a cause di questo genere, nate per di più – secondo vox populi – anche da segnalazioni giornalistiche. Scontata la buonafede di tutti, in difesa dell’ambiente che certo non gradisce i fumi delle navi a banchina, se i porti avessero più certezze di legge e quindi meno ricorsi ai magistrati, forse potrebbero funzionare meglio e con più dinamismo. Ogni riferimento anche ad altri ricorsi NON è puramente casuale.

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
23 Gennaio 2019

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