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Ma a chi appartiene il futuro della logistica?

Federico Pozzi Chiesa

MILANO – Era giugno 2018 quando Shaleen Devgun, chief information officer della Schneider National Inc. aveva detto al Wall Street Journal che “le aziende di trasporto e logistica devono trasformarsi in aziende di tecnologia”. E così è stato, almeno per i big player e per chi ha deciso di voler rimanere competitivo in un mercato affollato, spostandosi verso la cosiddetta e-logistics. Ma la frase di Devgun vale anche al contrario e la prova sono big (very big) player come Amazon, ma anche Google e Uber. Queste aziende tecnologiche – le più grandi al mondo – sono sbarcate negli ultimi mesi anche nel settore della logistica, puntando sul loro vantaggio “naturale” di possedere già grosse infrastrutture, molti dati e una potenza di fuoco senza pari.

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Negli Stati Uniti Amazon è sul mercato dal 2018, mentre in Italia dal 2019, dopo aver ottenuto lo scorso dicembre l’attestato di operatore postale dal MiSE. Non sono solo le dimensioni e la portata delle operazioni logistiche di Amazon a permettere al colosso dell’e-commerce di inserirsi in un settore così complesso e strutturato come quello della logistica. Amazon ha a disposizione (anche se sulla legittimità del loro utilizzo, l’opinione si divide) una quantità enorme di dati e analytics sugli acquisti e sulle ricerche degli utenti che possono permettere al colosso di ottimizzare le proprie modalità di consegna: gestendo anche la logistica in autonomia, Amazon vuole raggiungere l’obiettivo di rendersi indipendente al 100%.

Google, invece, battendo sul tempo proprio Amazon, ha ricevuto l’approvazione della Federal Aviation Administration per gestire una flotta di droni per la consegna di beni di consumo. Il progetto partirà nelle zone rurali della Virginia, e rappresenta un “colpo grosso” per l’azienda della Mountain View: secondo il Wall Street Journal molte altre società, prima su tutte Amazon, sono in attesa di approvazioni simili per il trasporto di alimenti e piccoli beni di consumo.

E Amazon non è l’unico big tech, come si diceva all’inizio, che ha deciso di investire nella logistica. Secondo alcune stime, le cinque più grandi aziende tecnologiche statunitensi stanno spendendo – collettivamente – circa 90 miliardi di dollari all’anno per la realizzazione di magazzini e data center, una cifra raddoppiata dal 2015 (fonte: Bloomberg).

Ma perché tutto questo interesse delle big tech a entrare in un settore così fisico? I numeri possono dare una mano a rispondere a questa domanda.

Il valore della logistica, a livello mondiale, è pari a 8,1 trilioni di $ e si prevede che raddoppierà entro il 2023. Negli Stati Uniti il settore rappresenta l’8% del PIL e impiega più di 5 milioni di persone. Per stare al passo con i tempi, poi, la logistica si sta innovando velocemente per poter rispondere alle sfide del momento: consegne sempre più veloci, più economiche e più sostenibili.

I protagonisti storici del settore stanno lavorando da anni per affrontare le sfide poste dalla Digital Revolution – proprio come Italmondo che dal 2015, con la sua prima startup Sendabox, fa open innovation attraverso l’incubatore di startup logistiche Supernova Hub – dall’altra parte i big dell’hi-tech, preparati a livello tecnologico e digitale, stanno imparando un nuovo mestiere. Tra questi, c’è anche Uber che ha creato UberRush e UberFreight. La prima è una società specializzata nelle consegne dell’ultimo miglio che impiega freelance come corrieri, invece che come autisti di persone. Il servizio è attualmente disponibile a New York, San Francisco e Chicago. UberFreight, invece, è una società di spedizioni digitale che collega operatori e spedizionieri, creando contatto diretto tra le parti, fornendo maggiore flessibilità, riduzione dei costi e maggiore efficienza.

A questo punto, potrebbe essere naturale farsi una domanda. I big dell’hi-tech riusciranno a prendere possesso del monopolio logistico? Non ci sono risposte certe, anche se non è in dubbio che lo spazio che si guadagneranno negli anni sarà rilevante. Ma per crescere avranno sempre bisogno dell’expertise verticale e pluridecennale dei player più tradizionali. Come altri settori in cui la tecnologia sta portando disruption, lo scenario più probabile è che big player vecchi e  nuovi collaboreranno tra loro e con le startup, al fine di integrare competenze e punti di forza.

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Pubblicato il
31 Agosto 2019

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