ROMA – Dunque, ci sono alcuni dati di fatto ma anche molte – forze troppe – incertezze. Il primo dato è che un drone USA, probabilmente partito dalla base siciliana di Sigonella, ha ucciso il generale iraniano Soleimani che era sbarcato a Bagdad per guidare la guerriglia antiamericana. Due giorni dopo la guerriglia somala – che non c’entrerebbe con l’Iran – ha attaccato una base USA in Kenia uccidendo un soldato americano e due contractors (il pudico termine usato oggi per indicare i mercenari). Nei giorni precedenti anche l’ambasciata USA a Bagdad era stata presa d’assalto da forze paramilitari filo-iraniane, con un morto e gravi danni. Più vicino a noi, molto più vicino, la Libia è da tempo al centro di un’offensiva contro il governo del generale al-Sarraj, riconosciuto dall’occidente, con l’intervento “con gli scarponi sul terreno” come dicono i tecnici, da parte anche dei militari turchi. Un drone dei quali, a sua volta ha incendiato la base lealista di Al Wattija; mentre il generale Haftar, che guida la rivolta anti al-Sarraj nega di aver massacrato i giovanissimi allievi della scuola militare a sud di Tripoli in un raid aereo da nessuno rivendicato. Se non siamo alla guerra aperta e dichiarata, siamo in un turbine di terrorismi che alla fine è ancora peggio.
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