Normalità in un Paese anormale
GENOVA – Un ponte è un ponte, e un viadotto è un viadotto. Ma per Genova e il suo porto, questo chilometro e sessantasette metri rappresenta un’arteria nel senso più anatomico della parola. Senza arterie, il sangue non corre e il corpo muore. E Genova ha fatto miracoli perché il suo porto non morisse, pagandone però un alto scotto. Adesso che il viadotto c’è, pronto all’uso, sarebbe criminale tardare anche solo un’altra settimana per riaprirlo. Si fa presto a sproloquiare sulla ripresa dell’economia, sui decreti di rilancio, sulla volontà di schiacciare l’acceleratore della macchina Italia.
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Dice un vecchio proverbio che le parole le porta via il vento (e i pisani aggiungono malignamente: …e le biciclette i livornesi!): qui si rischia davvero che arrivi quel vento di tempesta sociale che da tempo lampeggia all’orizzonte ma non è ancora esplosa. Intanto siamo diventati il paese dei decreti a raffica: alcuni utili, altri poco utili, altri ancora ridicoli o pleonastici. E allora, perché no un decreto sul collaudo veloce del ponte e al diavolo le procedure “normali” per un paese che ormai di normale non ha più niente?
Antonio Fulvi
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