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Anche l’Ilva di Stato per ricostruire in Siria

ROMA – 250 miliardi di dollari per ricostruire una Siria, dove il solo intervento sulle infrastrutture, al 40% seriamente danneggiate, comporterà – secondo il Syrian Center for Policy Research – una spesa di 65 miliardi. In Libano la Banca Mondiale stima in 8,1 miliardi di dollari il costo della ricostruzione di Beirut e dell’ammodernamento del Paese. In Iraq – secondo una recente analisi di Metal Bullettin – saranno necessarie tre milioni di tonnellate di acciaio (in prevalenza travi e tondino) solo per la ricostruzione delle principali e selezionate infrastrutture.

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“Il patto di Abramo sembra chiudere la stagione del conflitto tra Israele e mondo arabo sunnita e apre a scenari di sviluppo economico per l’area all’estremità orientale del Mar Mediterraneo. In questi dati, forse più per caso che per scelta strategica o conoscenza – afferma Giulio Sapelli, presidente di BlueMonitorLab – si può cercare un possibile razionale per l’ingresso, si spera temporaneo, dello Stato nell’Ilva. Una motivazione che travalica i confini di un’operazione di bassa politica, ma trova una sponda geo-economica nei nuovi equilibri che si stanno generando”.

“Gli Stati Uniti sono stati – prosegue Sapelli – tra i principali attori del patto di Abramo e faranno di tutto per limitare il ruolo della Cina nel processo di sviluppo mediorientale. Tra gli altri produttori di acciaio, la Turchia, da un punto di vista logistico, sarebbe il fornitore meglio collocato ma, a causa delle politiche di Erdogan, rischia di rimanere anche lei ai margini del processo di ricostruzione del Medio Oriente. L’Italia e la sua industria siderurgica si troveranno a competere proprio con l’India per accaparrarsi una fetta importante delle forniture necessarie allo sviluppo dell’area. La fine del controllo di Arcelor Mittal sull’Ilva, paradossalmente, solleva dal rischio di vederci esclusi da questo nuovo mercato”.

A fare eco a Giulio Sapelli è ancora dal punto di osservazione privilegiato del centro studi sull’economia del mare, BlueMonitorLab, Gian Enzo Duci, vice presidente di Conftrasporto e ricercatore di BML: “l’industria italiana del trasporto via mare ha competenze specifiche nel servire il settore della siderurgia e dell’impiantistica – sottolinea Duci – e potrebbe essere un valore aggiunto importante se si volesse creare una strategia nazionale di sistema per l’acciaio”. L’effetto di ricaduta sulla portualità e sui trasporti marittimi dall’Italia con destinazione la costa Mediterranea di Libano, Siria e Israele potrebbe essere rilevante.

Per quanto il nostro Paese, a differenza, ad esempio della Francia, non sia mai stato particolarmente abile a creare occasioni di mercato attraverso la politica estera, l’Italia potrebbe far valere nei confronti dell’alleato americano il ruolo di “diga” che gli stessi Stati Uniti sembrerebbero averle richiesto di svolgere verso l’invadenza cinese nel settore logistico portuale, chiedendo una posizione di vantaggio per l’ingresso in Medio Oriente.

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Pubblicato il
19 Dicembre 2020

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