LIVORNO – Eccolo qui il nuovo governo: con Mario Draghi che s’è caricato sulle spalle un’Italia sorridente e speranzosa, in un cielo solcato dall’arcobaleno della fine burrasca, tra gli evviva di (quasi) tutti. Davvero: allegria, ne abbiamo bisogno. Vi piace la nostra vignetta?
A fianco c’è la lista dei ministri, che già certamente conoscete. Che dire? Se Draghi piace alla gente che piace, non tutti hanno lo stesso carisma. Volevate il meglio? Anch’io: ma l’antica saggezza ricorda che il meglio è nemico del bene. Accontentiamoci.
C’è qualche ministro più di prima, come vedete. Per fortuna molti sono senza portafoglio. Il mio è populismo? Forse, ma non sono solo. Anche Mark Twain, il grande umorista americano, scriveva che “quando nasce un governo vai a nascondere il portafoglio”. Più modestamente, quando sento parlare di riforma fiscale vorrei fare lo sto anch’io, ma mi trattengo: tanto il mio è vuoto, difficile che possano spremerlo di più.
Torniamo alle cose serie. Il “nostro” ministro, quello delle infrastrutture e trasporti (salvo i trasporti non li abbiamo accorpati a quell’ircocervo che è il nuovo Ministero della Transizione Ecologica) è un serio professionista di lungo corso, esperto di numeri e non appassionato di monopattini; classe 1957, ex ministro del governo Letta, ex presidente Istat, professore universitario, non iscritto a partiti. Ha scritto svariati libri, tra i quali “l’Italia nel cuore”. Chissà che non ce la faccia davvero. A parte una sintesi del suo impressionante curriculum.
Una piccola amarezza: malgrado la corale richiesta fiorita quando ancora non c’era Draghi all’orizzonte, non è nato il ministero del mare, o della marina, o della portualità. Si vede che il passaparola – se c’è stato – veniva da un suggeritore sbagliato. Peccato, ma dobbiamo accontentarci. Vedremo se nella mandria dei sottosegretari ci sarà davvero la delega ad hoc.
Vedremo anche quanta attenzione sarà dedicata dal “quasi dictator” Draghi al mettere finalmente a regime il sistema dei sistemi portuali, completando le nomine vacanti e – specialmente – aggiustando i tanti buchi vuoti lasciati dalla riforma a metà di Delrio. C’è tanto, tantissimo lavoro da fare. E aspettiamoci anche che, passata l’euforia, arrivino le imboscate e i trappoloni. Quando la storia cede il passo alla cronaca, succede sempre.
Antonio Fulvi