LIVORNO – Mentre si riaffacciano i timori sui finanziamenti per i tre porti di massima urgenza per quali ci sono anche i commissari (compresa la Darsena Europa) tornano anche i dubbi sulle strutture portuali calibrate sul gigantismo navale. Di recente la dottoressa Angela Stefania Bergantino professore ordinario di Economia dei Trasporti all’Università di Bari, scriveva in un rapporto per “Port News” che tutte le tipologie di navi stanno conoscendo una crescita senza pari e le portacontainer in particolare hanno ormai dimensioni incompatibili con gran parte delle infrastrutture portuali esistenti. La OOCL Hong Kong di 21.413 TEUs, operativa all’interno della Ocean Alliance ha una lunghezza superiore ai 400 metri e un baglio di 60 metri. Navi di questo tipo, grandi il doppio di quelle che solo dieci anni fa erano considerate flag-ship, rendono obsoleto il termine Ultra Large Container Ship (ULCS). La MSC da sola, che ha più di 90 unità in questa fascia dimensionale, ha anche in arrivo navi da 23.350 TEUs.
Le economie di scala (gigantismo) non sembrano nemmeno oggi il fattore più rilevante per affrontare la crisi. Una delle motivazioni di questi continui investimenti nelle mega-carriers consiste nel circolo vizioso innescato nel mercato armatoriale. Invece di contenere la capacità esistente nel mercato, le grandi compagnie armatoriali aggiungono ogni anno nuova capacità, sotto l’influsso dei bassi tassi d’interesse (e delle agevolazioni fiscali) e nella prospettiva che le navi rappresentino degli asset finanziari di lunga durata (più che strumenti di commercio).
La pressione sui porti e sulla logistica – scriveva ancora l’esperta poco tempo fa sulla stessa testata – è dunque fortissima. Accogliere navi di oltre 23mila TEUs richiede ingenti investimenti lato-mare (banchine e, soprattutto, dragaggi) ma soprattutto infrastrutture di accesso, facilities dedicate e servizi di dimensione completamente diversa rispetto all’attuale. Bisogna però domandarsi se il non essere parte della rete delle mega-carriers, significa effettivamente perdere la connettività e aumentare i costi di trasporto.
Il problema delle strutture portuali per la meganavi è particolarmente sentito in Italia, dove a parte Gioia Tauro c’è poco di adatto. E senza voler essere pessimisti, anche poco da adattare se non con spese che non ci possiamo permettere, specialmente oggi.
Da qui le perplessità del Ministero delle Infrastrutture emerse in questi giorni; con le quali sembra dovremo fare presto i conti.
A.F.