Il potere delle donne

Ci scrive Paola S. che lavora in un’agenzia marittima di Cagliari:

Ho letto che avete affrontato più volte il tema delle donne che lavorano in campo marittimo. Ho anche letto che secondo una parte dei politici bisogna “proteggere” le donne con “quote rosa” o altri sistemi a schema fisso, mentre a mio parere e a parere di tante nostre colleghe bisognerebbe invece riconoscere alle donne più diritti accessori, come periodi per la maternità più flessibili, e anche orari flessibili per chi ha bambini piccoli. Sul fatto che donne e uomini sono ugualmente capaci o incapaci in qualsiasi tipo di lavoro (esclusi forse quelli di sola forza fisica) nessuno dubita più: e chi dovesse dubitare sarebbe considerato un imbecille. Grazie.

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Tema evidentemente molto sentito anche tra le lettrici di un giornale di logistica. No, quello riportato qui sopra non è un gestaccio provocatorio (il riferimento è quello celebre di Alberto Sordi: “Lavoratori!”): è il manifesto disegnato dall’americano Howard Miller già negli anni ’90 e diventato simbolo del femminismo “muscoloso”. Ovvero: lo possiamo fare anche noi, anche a forza di muscoli.

Ho pensato di richiamare questa immagine – molto nota negli USA, meno da noi – perché non è da oggi che le frange più evolute della società considerano acquisita la parità dei diritti (e dei doveri) tra donne ed uomini. Le cosiddette “quote rosa” invece ci sembrano – ma è mia opinione personale, quindi me ne assumo tutte le responsabilità – una inutile forzatura burocratica. Essendo doverosa e riconosciuta la parità di diritti (e di doveri) mi sembra assurdo pretendere che in qualsiasi ambiente di lavoro o di impegno politico o sociale ci debba essere per legge un numero uguale di uomini e donne. Se sono brave, ci siano anche più donne. Se non sono valide per un ruolo, perché imbarcarle a forza?

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