Dal green washing al risk washing

MILANO – In Italia è boom di «green claim», le dichiarazioni sulle presunte “qualità sostenibili” di un prodotto o di un’azienda. Ma lo scopo è sempre più spesso la convenienza economica delle aziende, ottenuta gettando fumo negli occhi di chi all’ambiente tiene davvero e non ha l’esperienza per capire l’inganno. Lo scrive sul web Ener2Crowd che propone anche alcuni rimedi.

A quasi 40 anni dall’apparizione del neologismo «green washing», introdotto dal ricercatore ambientalista Jay Westerveld nel 1983 – riporta il sito – il problema è diventato oggi un fenomeno virale che è approdato anche a Sanremo, arrivando ad un target di 12 milioni di italiani che hanno ascoltato il grido «stop green washing» del cantautore Cosmo.

«Il fenomeno è sempre lo stesso osservato 40 anni fa: fornire una parvenza di verità per dare una “vernice” ambientalista ad iniziative che in realtà non portano ad alcun beneficio ambientale» spiegano gli esperti di Ener2Crowd.com, la prima piattaforma italiana di lending crowdfunding ambientale ed energetico.

Dal «white washing» si è poi passati al «green washing», al «pink washing» e poi ancora al «rainbow washing», tutti tool di marketing per fare l’occhiolino a consumatori ed utenti attenti all’ambiente o alla parità di genere o ancora alle discriminazioni contro gli omosessuali.

«Il problema è che il fenomeno è in continua evoluzione. In analogia con il termine “white washing” che ha caratterizzato gli anni di boom dei Titoli di Efficientamento Energetico e con il più recente temine “green washing”, assistiamo ora all’emergere del “risk washing”» avvertono gli esperti di Ener2Crowd.com, riferendosi ad iniziative in cui si propongono metodologie di finanziamento e di prestito direttamente tra privati e tipiche di quell’area nota come social lending o crowdfunding.

«Ma vi sono alcuni settori – puntualizzano i fondatori di Ener2Crowd.com – in cui la socializzazione dei prestiti rischia di mascherare un’assenza di assunzione di responsabilità da parte delle aziende. In particolar modo quello della transizione energetica, dove il ruolo di un’impresa non può essere solo quello di vendere i propri prodotti o servizi, ma deve generare e condividere valore, anche assumendosene il rischio, soprattutto se è legato alle persone». 

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