LONDRA – Analizzando spugne coralline raccolte al largo della costa di Porto Rico, nei Caraibi orientali, alcuni scienziati sono riusciti a tenere traccia di ben 300 anni di temperature oceaniche e hanno concluso che il mondo avrebbe già superato il limite cruciale del riscaldamento globale. E non solo: sono arrivati alla conclusione che il pianeta avrebbe cominciato a surriscaldarsi molto prima rispetto alla data convenzionale.
Il riscaldamento dell’era industriale, secondo questi studi, iniziò a metà degli anni ’60 dell’Ottocento, più di 80 anni prima rispetto alle registrazioni strumentali della temperatura della superficie del mare. È quanto emerge dalla ricerca appena pubblicata su Nature, per la quale sono stati utilizzati campioni di sclerospugne al largo della costa di Porto Rico per calcolare le temperature della superficie dell’oceano risalenti a 300 anni fa.
Le sclerospugne sono organismi marini che crescono lentamente e che hanno un corpo esterno morbido e uno scheletro calcareo duro che registra la temperatura dell’Oceano superiore e le condizioni climatiche, permettendo di dare uno sguardo a come era l’oceano centinaia di anni fa, molto prima dell’esistenza dei dati moderni. Proprio loro stanno inducendo gli scienziati a pensare che il cambiamento climatico causato dall’uomo sia iniziato prima di quanto si sia sinora pensato.
Nonostante ciò, molti sono gli scienziati del clima hanno messo in dubbio i risultati di questo studio. Gavin Schmidt, per esempio, climatologo della NASA, ha affermato che per stimare la temperatura media globale sarebbero necessari dati provenienti da quante più località possibile, poiché il clima varia in tutto il Pianeta.
Le affermazioni secondo cui i dati provenienti da un singolo record possono definire con sicurezza il riscaldamento medio globale a partire dall’epoca preindustriale sono probabilmente eccessive, ha affermato in una nota.
Alcuni sono andati oltre: Yadvinder Malhi, professore di scienza degli ecosistemi presso l’Environmental Change Institute, Università di Oxford, ha affermato che il modo in cui i risultati sono stati comunicati è “imperfetto” e hanno “il potenziale per aggiungere inutile confusione al dibattito pubblico sui cambiamenti climatici”.