Quel vecchio siluro e i misteri sepolti della Meloria
Perché nessuno cerca gli archeo-reperti della battaglia navale fra Genova e Pisa di sette secoli fa?

Rematori e soldati in battaglia in unì’opera di Spinello Aretino conservata a Siena, Palazzo Civico. E’ un capolavoro che risale agli inizi del Quattrocento ma in realtà raffigura uno scontro del 1177 fra la flotta veneziana sostenuta dal pontefoce e quella del Sacro Romano Impero: la storia vera vedrà la cattura del figlio di Barbarossa. L’azione vede rematori e armigeri su una galera di inizio Duecento o poco prima, almeno per come la immaginava un artista due secoli dopo
LIVORNO. Una settimana fa, come hanno abbondantemente riferito le cronache, è stato fatto brillare un vecchio siluro nel fondale davanti alla città, con una spettacolare colonna d’acqua vista anche da terra. L’ordigno era stato ritrovato nello specchio acqueo antistante i Bagni Fiume, a circa mezzo miglio dalla costa ed a soli 12 metri di profondità, lo scorso 24 giugno dal Nucleo Sommozzatori della Guardia di Finanza di Livorno.
Nel corso dei sopralluoghi, gli specialisti hanno avuto modo di classificare l’ordigno come un siluro da 450 mm Whitehead, noto silurificio livornese oggi passato a Fincantieri (Wass), come abbiamo di recente riferito.
Il ritrovamento, ma in particolare la distruzione dell’ordigno che ha provocato un bel sommovimento del fondale, hanno riaperto la vecchia questione della ricerca nelle acque a sud della Meloria dei resti della grande battaglia navale tra genovesi e pisani combattuta in quell’area il 6 agosto del 1284, con l’affondamento di almeno una quarantina di galere in pieno assetto e la morte stimata (cfr. Luciano Moni, “La battaglia della Meloria”, edizioni Belforte Media Print) di almeno 5 mila combattenti pisani e almeno 3 mila genovesi, che pagarono anche loro ben cara la vittoria su Pisa, determinante come noto per la definitiva decadenza della repubblica marinara toscana.
Sebbene sul fondale siano finiti tanti relitti (le galere di allora erano lunghe circa 30 metri, avevano a bordo un centinaio di rematori e una sessantina di soldati armati e coperti di elmi e pesanti corazze (specie i pisani), non è mai stato trovato alcun reperto; sia per la consistenza dei fondali, in gran parte sabbia e fango accumulatesi nei secoli successivi, sia perché non sono mai state fatte ricerche sistematiche. Eppure il fondale dove sono finiti corpi e relitti è tutt’altro che inaccessibile, variando tra 18 e 21 metri, oggi alla portata di qualsiasi sub anche non specializzato. Perché allora non sono state fatte ricerche sistematiche per conto delle pubbliche istituzioni?
Perché – si lamentava anche l’illustre studioso livornese professor Barsotti – tutta la zona è considerata protetta, parco o quasi, e paradossalmente vietata ad operazioni professionali, oltre che in epoca moderna alla pesca (altrimenti le reti a strascico avrebbero certo “rastrellato” qualcosa). Da chiedersi dunque, proprio in questi giorni nei quali si avvicina l’anniversario della cruenta battaglia, perché il parco della Meloria (competente sulla presunta area interessata) e quello più “ricco” dell’arcipelago toscano non abbiano un programma di ricerche che darebbe certo – grazie ai modernissimi mezzi disponibili, compresi i Metal detector più sofisticati – risultati importanti per l’arricchimento del nostro patrimonio culturale marittimo.
Non dobbiamo dimenticare che al largo di Capoliveri (Elba) anni fa un pontone dei Neri con sommozzatori della Marina recuperò su un fondale ben più ostico un vero tesoro di monete d’oro e d’argento affondate con il relitto del Polluce, un vapore napoletano che era stato speronato nella notte del 1841. Partecipò all’operazione anche lo stesso Titone Neri che intervistai nell’occasione.
(A.F.)