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IL RISIKO GEOPOLITICO

Il mistero dei cavi sottomarini di internet tagliati sui fondali del Mar Rosso

Fra i sospetti di una “guerra spuria” e la realtà dei danni a enormi flussi finanziari

LONDRA. Non c’è la storiaccia strappalacrime né l’atto di eroismo indomito, dunque ha fatto a malapena capolino nelle pagine dei giornali – e tutt’al più in quel cacciuccone che sono le “brevi dal mondo” – la notizia che numerose rotture dei cavi sottomarini nel Mar Rosso abbiano causato un black out del web in Yemen e area del Golfo ma anche India e Pakistan. La causa? Resta ancora un mistero: magari le ancore delle navi o eventi naturali particolarmente catastrofici possono creare guai ai cavi ma possono anche essere recisi da attacchi deliberati e il black out nel Mar Rosso è accaduto nel bel mezzo di crescenti tensioni geopolitiche in quell’area e giunge dopo gli avvertimenti dei governi in merito al potenziale rischio di attacchi alle infrastrutture sottomarine.

Insomma, potrebbe non essere l’ennesima cosuccia da nulla, lontana un milione di miglia e comunque chissene: i cavi sottomarini «trasportano il 99% del traffico internet mondiale e supportano 50 trilioni (50mila miliardi) di dollari in transazioni finanziarie annuali». Per capirci: stiamo parlando di una somma spropositata che equivale al Pil dell’insieme degli stati dell’Unione Europea più la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e il Canada. Reso l’idea? Di più: oltre alla «stragrande maggioranza dei dati internazionali», ai cavi laggiù in fondo al mare sono affidati «volumi crescenti di energia elettrica rinnovabile attraverso interconnettori». A chi dice che in fondo tutto stiamo parlando di qualcosa a quasi 2.500 miglia nautiche da qui, dal quartier generale londinese dell’Imca, a un passo dalla casa-museo settecentesca di Dennis Severs,  si risponde così: «Un’interruzione in una regione si ripercuote rapidamente sui sistemi globali, influenzando le comunicazioni, i mercati e i flussi energetici». Lo dice la principale associazione di categoria per gli appaltatori marittimi offshore («rappresentiamo oltre 800 aziende associate in 65 paesi»).

Secondo quanto riporta StartMag, l’organizzazione investigativa NetBlocks con gli occhi spalancati sugli accessi internet ha indicato che «una serie di interruzioni dei cavi sottomarini nel Mar Rosso ha degradato la connettività in diversi Paesi». Secondo tale fonte, la causa va attribuita a «guasti che hanno interessato i sistemi di cavi Smw4 e Imewe vicino a Gedda, in Arabia Saudita». A quanto è dato sapere, tanto fra 16 operatori di telecomunicazione consorziati nel sistema Smw4 quanto fra i nove gruppi presenti nell’ “Imewe” figurerebbe una azienda italiana del settore.

La segnalazione del misterioso guasto ai cavi sottomarini è da leggere insieme al fatto che, secondo quanto riferito, Microsoft ha confermato il “degrado della connettività” con una propria nota in cui si spiega che il traffico internet è stato reindirizzato attraverso altre direttrici.

Bisogna tener presente che nel Mar Rosso le coste sono abbastanza vicine e buona parte dei fondali non raggiunge i 500 metri, ma in alcune zone si arriva anche più giù di 2mila metri: alcuni media occidentali hanno avanzato sospetti sugli houthi, che avrebbero contrattaccato in tal modo dopo esser stati pesantemente attaccati dall’aviazione americana; non risulta però che vi siano prove in tal senso.

Il viceammiraglio Didier Maleterre, vicecapo del Comando marittimo alleato della Nato, citato da “Limes” lo scorso anno era andato all’attacco puntando l’indice accusatore contro Putin e i suoi: colpevoli, a suo giudizio, di mettere in atto una guerra ibrida negli abissi per creare difficoltà all’economia europea attraversi sabotaggi ai cavi sottomarini del web. Alla fine di gennaio il “Washington Post” aveva riferito, però, che nella comunità dell’intelligence sia di parte americana che di parte europea si ritiene che i danni ai cavi sottomarini registrati mesi fa nel Baltico non siano da addebitare a una sorta di “guerra spuria” non dichiarata ma assai praticata dai russi a suon di sabotaggi.

Negli ultimi giorni la Abc, una delle maggiori emittenti statunitensi, ha mandato in onda un docufilm che gioca con le parole: «La “nuvola” in fondo al mare» (facendo un doppio riferimento al “cloud” che è un po’ il nostro magazzino del web ma anche al fatto che stiamo parlando di qualcosa di nebuloso, mai abbastanza chiaro…).

In effetti, per farsi una minima idea dei volumi in gioco, vale la pena di dare un’occhiata a un report dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale: si calcola che ogni giorno vengano archiviate in rete qualcosa come 362mila miliardi di megabyte. Per farli viaggiare c’è bisogno di “autostrade” che corrono dentro i cavi sottomarini: il dossier “fotografa” la situazione nel 2024 e segnala che esistono «un totale di 574 cavi sottomarini commerciali, principalmente di proprietà di aziende private» ma vi sono già a brevissima scadenza «78 nuovi progetti di cavi». Con una crescita al ritmo del «30% annuo per il prossimo decennio» e raggiungere «una copertura di oltre 1,4 milioni di chilometri».

L’analisi di Alessandro Gili e Ludovica Favarotto punta dietro le quinte: «Prima del 2008 l’industria dei cavi sottomarini era dominata principalmente da aziende provenienti da economie avanzate come Stati Uniti, Giappone e Francia. Tuttavia, con l’aumento degli investimenti governativi da parte della Cina, Huawei Marine Networks Co Ltd (acquisita nel 2020 da Hengtong) ha fatto il suo ingresso nel mercato, trasformando il settore in una partita geopolitica e di sicurezza. Attualmente solo dieci Paesi dispongono della capacità per costruire e gestire questa infrastruttura».

Tutto questo è qualcosa che ci interessa molto da vicino: in questa “autostrada” di dati il mar Mediterraneo è uno snodo cruciale per l’economia digitale globale, dicono i due studiosi: collega «Europa, Africa e Asia attraverso migliaia di chilometri di cavi in fibra ottica». In concreto: «Si stima che fino al 95% delle comunicazioni trans-regionali passi attraverso questi cavi. In particolare, quasi tutti i cavi sottomarini che collegano l’Europa e l’Asia (eccetto uno) attraversano l’Egitto e il Mar Rosso, rendendo quest’area “il punto più vulnerabile per Internet”». E qui casca l’asino, appunto…

C’è da sottolineare che l’Imca e l’Esca, l’organizzazione che a livello europeo si occupa del settore dei cavi sottomarini, si sono alleate per chiedere insieme alcune cose:

  • una riforma urgente delle “regole del gioco” per «consentire tempi di risposta più veloci alle interruzioni improvvise»;
  • Investimenti strategici in «nuove navi dedicate e attrezzature critiche» che si occupino di riparare i guasti;
  • formazione della forza lavoro per creare «nuove generazioni di ingegneri dei cavi e di equipaggi offshore»;
  • una migliore cooperazione transfrontaliera, visto che «i guasti ai cavi spesso coinvolgono più giurisdizioni contemporaneamente».

Adesso l’Imca torna alla carica. Lo ripete senza troppi diplomaticismi: o ci preoccupa di destinare investimenti significativi nella capacità di far fronte a esigenze di riparazione impreviste, nell’adeguamento e nell’aggiornamento della forza lavoro e nel cambiamento delle norme o i governi «rischiano di essere colti impreparati dalle interruzioni che verranno».

Iain Grainger

Iain Grainger, che dell’International Marine Contractors Association (Imca) è amministratore delegato, lo dice papale papale: «I tagli dei cavi nel Mar Rosso sono la riprova che le infrastrutture sottomarine non sono più un problema da lasciare in secondo piano: al contrario, hanno una importanza critica in prima linea». Aggiungendo poi: «Quando i cavi si rompono, le nazioni perdono connettività, i flussi finanziari si interrompono e le economie ne risentono immediatamente. Questo settore è ora più critico che mai per la sicurezza e la stabilità globale».

Grainger insiste: «Il mondo dipende dal settore degli appalti marittimi per riparare queste linee vitali. Ma garantire la resilienza non è automatico. Richiede investimenti costanti in navi e attrezzature, nuovi talenti che entrano nella forza lavoro per integrare gli specialisti esperti di oggi e quadri normativi che consentano agli equipaggi di rispondere senza ritardi. Costruire questa preparazione è una responsabilità condivisa tra governi, autorità di regolamentazione e industria».

Il numero uno di Imca coglie la palla al balzo perché, in nome dell’emergenza difensiva, si faccia fare un balzo in avanti a questa priorità nella gerarchia degli impegni e delle scelte: «Quel che sta avvenendo adesso nel Mar Rosso potrebbe accadere dovunque domani o dopodomani. La resilienza delle linee vitali sottomarine va inserita e diventare parte integrante nelle strategie di sicurezza ed energetiche a livello mondiale. Senza un’azione urgente, corriamo il pericolo di essere colti con il fianco scoperto».

M.Z.

Pubblicato il
9 Settembre 2025
di M.Z.

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