In memoria di Cristina Cerrai, l’avvocata dalla parte dei diritti
Gli auguri di buon anno: una donna-mongolfiera che invita a guardare “più in là”

L’avvocata Cristina Cerrai, scomparsa nei giorni scorsi pochi giorni dopo aver compiuto i 65 anni
LIVORNO. Chissà se 65 anni fa eravamo nella stessa sala bebè dell’ospedale di Livorno a strillare in coro la nostra voglia gagliarda di farci sentire da quel mondo in cui, parola di prime pagine del “Tirreno”, il capo dell’Onu era insultato da un leader congolese, cominciavano le Olimpiadi di Roma e i sovietici beffavano gli americani nella corsa allo spazio lanciando nel cosmo alcuni animali. Insomma, ci divertivamo con poco, noi nati a fine agosto ’60. Da coetanei io e Cristina Cerrai ci eravamo ritrovati in classi parallele al liceo Enriques, poi persi di vista: anche se, da distante, ho sempre conosciuto la passione per la giurisprudenza che era diventata il suo mestiere. Di più: la sua passione.
Bisogna dirlo meglio perché dire “la sua passione” la rinchiude nella propria dimensione individualistica. No, era di più perché nella sua professione aveva declinato l’attenzione a quella sfera che sembra la più complicata da normare, catalogare, prescrivere: i rapporti fra persone, soprattutto in quel grumo di liti, amore, urla e dedizione – tutto quello che sta fuori da Mastercard, per intenderci – che è la famiglia. Anche qui, c’è necessità d’un supplemento: lo faceva, principalmente guardando la realtà mettendosi al fianco delle donne. Beninteso, non solo con le enunciazioni di principio ma condividendo la fatica di difendersi a suon di carte bollate, se ce n’è bisogno, e offrendo una spalla amica e competente a chi si sente senza più appoggi perché è in casa sua che non li ha più.
Adesso la ritrovo qui, che è una notizia di giornale e una lapide. Logico che mi venga da ripercorrere all’indietro il cammino: tutte le volte che ne ho incrociato il nome di stimata legale o, dall’inizio del decennio scorso, per una dozzina di anni come consigliera provinciale di parità della Provincia. Mica semplice: 1) sei in una istituzione come la Provincia nel mezzo della tempesta perché hanno deciso di spazzarla via e, peggio con peggio, è rimasta ma a bagnomaria; 2) sei consigliera sì, ma senza la legittimazione della politica e senza i poteri di un assessore; 3) devi occuparti di parità di genere, ma nell’ente sei dentro a metà: non appartieni al rango dei dirigenti e non sei nel novero dei politici. Eppure sai che la battaglia è quella giusta (e i problemi incrociati nell’attività da avvocata te lo confermano ogni giorno), eppure sai che per incidere ci vorrebbe il napalm e tu tutt’al più hai un coltellino svizzero.
Non è un caso se tra i primi a affidarne i giornali il ricordo figuri un’altra donna: la presidente della Provincia, Sandra Scarpellini. «Ha svolto con passione e dedizione il proprio: l’attenzione ai più deboli, il contrasto alla violenza in ogni sua forma e la difesa dei diritti delle donne sono stati la cifra della sua lunga attività, portata avanti sempre con entusiasmo, apertura al confronto e all’innovazione».
Dal Palazzo dirimpettaio, quello Civico, un’altra donna: la vicesindaca Libera Camici. «La sua passione e il suo impegno instancabile per i diritti delle donne sono stati un faro di riferimento nella comunità. Cristina ha dedicato la sua vita professionale e personale alla causa della giustizia e della parità di genere, battendosi con determinazione per migliorare le condizioni di vita delle donne. La sua perdita lascia un vuoto incolmabile e un’eredità di valori di cui tutti noi ci ricorderemo».
Ho sentito in questi giorni la parola “simbolo”: non so se in questo caso mi piace. Talvolta per dispiegare la bandiera della tua parte ne combini di tutti i colori. Mi sembra che a Cristina Cerrai interessasse più aiutare le persone a rimettere insieme pezzi della loro vita: persone concrete, in carne e ossa, con le loro contraddizioni e errori ma anche con la loro dignità e i loro diritti. Dev’essere per questo che in precedenza la collaborazione con la Provincia era stata nel nome del sostegno alle adozioni. Anche qui: per dare una mano alle persone a declinare regole e diritti dentro un ginepraio di sentimenti e emozioni, ma perlopiù in chiave solidaristico-altruistica.
C’è una immagine che mi piace più di altre: riguarda gli auguri che per questo 2025 Cristina Cerrai aveva fatto a tutti noi via social. Niente chissà mai cosa, semplicemente “buon anno a tutte e tutti”. Ma che colpo quella grafica: la mongolfiera che si solleva in volo ma in realtà il pallo aerostatico è la gonna di una donna che ha con sé un cannocchiale per guardare lontano e scoprire qualche terra incognita che noi da qui neppure vediamo e forse lei intuisce, ma solo intuisce…
Ecco, fra le cose che lei aveva intuito c’era l’idea che
sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
“più in là”.
Parole e musica di Montale Eugenio in quattro righe di “Ossi di seppia” per le quali adesso suona la campana del centenario. Ma se solo Montale avesse conosciuto l’immagine della donna-mongolfiera sono convinto avrebbe cambiato i versi.
Perché questa divagazione sciocca? Perché Cristina Cerrai aveva utilizzato il ruolo di consigliera di parità per giocare d’iniziativa: progetti innovativi che non potevano sostituirsi alle scelte politiche ma potevano cambiare qualche rotellina, qualche ingranaggio del reale. Non è affatto casuale ogni riferimento a un progetto di rilevante capacità innovativa com’è lo sportello Vis in aiuto alle vittime di reato riuscendo a fare il miracolo di vincere diffidenze e pigrizie per mettere insieme come alleati 29 soggetti tra istituzioni, pubbliche amministrazioni, forze dell’ordine, servizi sociali e sanitari, associazioni di settore, associazioni di volontariato. E poi i tavoli tematici per far sì che i diritti diventassero pane quotidiano dentro le mille pieghe della società civile: la questione di genere declinata nel linguaggio e nella violenza, le donne migranti, la disabilità e la discriminazione, la realtà arcobaleno Lgbt.

Cristina Cerrai (la prima da destra) insieme alla presidente della Provincia di Livorno, Sandra Scarpellini, all’inaugurazione della mostra a Palazzo Granducale nel 2023 dedicata a ritratti di donne: sulla sinistra Furio Raugi e Elena Amadori che hanno curato l’allestimento
Leggo sul “Tirreno” le parole che le scrivono il marito, l’architetto Fabrizio Filippelli, e i figli Camilla e Yan Carlos. Ne strappo un brano per trascriverlo: «Ci ha trasmesso la disciplina dell’amore. Era una donna dal carattere molto forte, eppure con delle fragilità che non mostrava al mondo. La sua forza non era nell’assenza di difficoltà, ma nella capacità di andare avanti senza mai far pesare agli altri le proprie fatiche. Sempre pronta ad ascoltare e ad aiutare chiunque ne avesse bisogno, non lo faceva per ricevere qualcosa in cambio, ma semplicemente perché credeva che fare del bene fosse la strada giusta». Un altro: «Ci ha insegnato cosa significa amare incondizionatamente, cosa significa essere presenti per gli altri, anche nei momenti più difficili». Il terzo prende forma come parole ma è un’immagine: «E amava la sua casa e il suo giardino, che curava con estrema attenzione, pianta dopo pianta, fiore dopo fiore. Quel giardino non era solo un luogo di bellezza, ma lo specchio del suo modo di essere: pieno di vita, di spiritualità e di amore».
Lo sa chi ha scoperto l’arte dei fiori e delle piante: lei che si curva su una pianta per volta, un fiore per volta. Come nel mestiere di avvocata, come nell’impegno da consigliera di parità o, in precedenza, allo sportello adozioni.
Mauro Zucchelli