Visita il sito web
Tempo per la lettura: 6 minuti
IL GIORNO DEL LUTTO

L’ultimo abbraccio a Loris Rispoli davanti alla lapide della “strage del Moby”

Livorno piange il mite combattente che non ha alzato bandiera bianca

Loris Rispoli mostra la maglietta simbolo (#iosono141) della lotta dei familiari delle 140 vittime della sciagura del Moby Prince

LIVORNO. I baffi di Loris sono ingrigiti con lui e la sua battaglia. Era un giovane che si era da poco affacciato alla vita adulta il giorno che la strage del traghetto Moby Prince gli marchiò l’esistenza in modo incancellabile: chissà cosa sognava per sé da quell’ufficio postale o al riparo dal mondo nella sua casa. Al riparo fino a un certo punto perché non era tipo da rimpiattarsi al di dentro dell’uscio di casa. C’è un dettaglio che pochi conoscono, me lo ricorda Roberto De Majo, padre del mio indimenticato collega Luciano: lui e Loris impegnati come consiglieri Pci in prima linea nella trincea dei quartieri – lì dove non potevi nasconderti dai bisogni della gente – nella circoscrizione di Borgo guidata da Laura Bandini che sarà vicesindaca.

Se n’è andato per sempre a 69 anni, ma era da almeno quattro anni che si era ritirato dal mondo per via di un susseguirsi di arresti cardiaci che l’avevano fiaccato in modo tremendo: l’epilogo di una sofferenza lunga una vita. Ma d’una vita che è diventata lotta, testimonianza. Passione, ma nel doppio senso che la parola ha: da un lato, quello dell’innamoramento; dall’altro, quello del patire di crocifisso.

Era il ‘77: il leader Cgil Lama era stato già cacciato dall’università con l’assalto degli autonomi ma il Pci era quello della (quasi) “grande avanzata” di metà anni ’70 con l’ondata di giunte rosse e a Livorno Berlinguer era tornato a fare i conti con la scissione del ’21 lanciando l’eurocomunismo insieme a Santiago Carrillo. Insomma, lo smarrimento della Bolognina e la sensazione che il muro di Berlino crollasse addosso anche a chi se ne stava sul Pontino o alle Sorgenti. Ma soprattutto Loris aveva cucite sui jeans le speranze di ventunenne e l’idea che il tempo lì davanti fosse gonfio di promesse. Bandini racconta: «Loris era il consigliere più giovane, era entusiasta e pieno di idee: pensava, come un po’ tutti noi, che potessimo farcela a cambiare il mondo partendo da Borgo Cappuccini».

Il funerale di Loris Rispoli nel Porto Mediceo di Livorno davanti alla lapide delle vittime del Moby Prince: l’intervento del sindaco Luca Salvetti

DALL’ARCHIVIO/1: qui il link all’articolo della Gazzetta Marittima in cui, nel 34° anniversario della sciagura del Moby Prince, si ricorda che il “teorema della palla di fuoco” è l’alibi migliore per assolvere tutti

Invece quel mercoledì notte di primavera, annata 1991, il rogo a bordo del traghetto Livorno-Olbia a una spanna dal litorale di Antignano inghiotte non solo l’esistenza della sorella minore Liana, commessa della boutique del traghetto: le fiamme si divorano in certo qual modo anche lui, soprattutto l’idea che il futuro possa avere in pancia la speranza di qualcosa che sia meglio di quel che siamo qui e ora.

Quel mercoledì notte di 34 anni fa è piombato il peso di una tragedia che ha schiantato il cuore di tante mamme e babbi o di figli e di mogli, di nonni o nipoti, di fratelli o sorelle o di amici. C’era che forse a stento ce l’avrebbe fatta a rincantucciarsi a curare la propria ferita e invece aveva 35 anni e doveva pensare a reggere in piedi i genitori. Da fratello maggiore se la sentiva addosso, la responsabilità di chiedere giustizia e verità a nome della sorella Liana morta in quel rogo.

Poteva bastare, in quegli anni formidabili in cui doveva fare anche i conti con il fatto che veniva giù quel mondo di impegno, di lotte e di valori di cui un giovane come lui si sentiva parte.

Poteva bastare, e invece no. Mai che l’abbia visto ostentare il dolore personale come fosse un drappo o una bandiera. E al tempo stesso non l’ha rinchiuso soltanto dentro una questione privata, come fosse una bega solo sua: un pianto rannicchiato dentro il perimetro della famiglia. No, non era quello il suo modo di affrontare la storia.

Chissà quanti amarcord in quella testa caparbia che ha attraversato il deserto. Già, perché è inutile far finta di niente: ci sono stati anni in cui noi della “sua” Livorno gli siamo stati accanto a corrente alternata. Sì, l’indignazione per la verità ufficiale della giustizia officiata dai tribunali ma anche una certa tiepidezza di noi livornesi nel sentirci davvero coinvolti dal dolore di quelle famiglie di marittimi o di passeggeri.

La cosa straordinaria è stata la capacità di Loris Rispoli di reggere i tempi di questa lunga traversata. Ha avuto ragione lui. Alla fine, quasi per paradosso, è come se più il tempo passa e più ce la sentiamo addosso anche noi: davvero #iosono141. E adesso che il suo cuore generoso si è fermato per sempre, il lutto è un libeccio che ha colpito tutti: senza sbraitare è diventato la coscienza civica di una Livorno che sulla strage del Moby Prince a lungo si è addormentata come la giustizia.

C’è voluto un quarto di secolo per vedere qualche spiraglio grazie al lavoro delle commissioni parlamentari d’inchiesta: prima quella di Palazzo Madama  guidati dal senatore sassarese Silvio Lai (con il livornese Marco Filippi fra i componenti), poi quella  presieduta dal deputato labronico Andrea Romano (con i livornesi Francesco Berti e Manfredi Potenti, M5s l’uno e leghista l’altro), ora con una nuova commissione alla Camera diretta dal deputato sardo Pietro Pittalis (con la livornese Chiara Tenerini). Ci sono voluti trent’anni tondi perché arrivasse la “livornina” per l’associazione dei familiari mandata avanti per una esistenza intera da Loris Rispoli: «Questa livornina è per tutti voi», così “Il Tirreno” titolava quel giorno il pezzo di Alessandro Guarducci.

Ben venga, dunque, adesso l’idea di istituire un museo dedicato alla “strage del Moby”: se a Bologna sono riusciti a costruirlo attorno al Dc9 dei misteri finito giù a 3.500 metri di profondità negli abissi al largo di Ustica, non dovrebbe essere impossibile farlo per questa vicenda che ci riguarda così da vicino. E che ci riguarda da vicino è stata la vita di Loris a farcelo ricordare dopo la smemoratezza, lo scoramento e la delusione dei primi anni. Chissà se sarà possibile “adottare” questa memoria della strage: proprio come hanno fatto a Bologna con i volontari che accompagnano gli studenti. Non devono leggersi le didascalie o rimanere titubanti di fronte a qualcosa da decifrare: c’è chi racconta loro questa storia.

DALL’ARCHIVIO/2: qui il link all’articolo pubblicato sul blog personale del cronista in cui si dà conto di alcune incongruenze nella ricostruzione di quel che è accaduto a bordo del traghetto nella notte del rogo

Livorno: lpultimo addio a Loris Rispoli davanti alla lapide delle vittime del Moby Prince

È stato giusto aver seguito l’idea lanciata da don Paolo Razzauti: l’ultimo addio a Loris, diamolo nel Porto Mediceo davanti alla lapide che ricorda il lutto del traghetto andato a fuoco con 140 marittimi e passeggeri. «Io credo e so che Loris si incontrerà con i suoi cari per i quali ha speso una vita», dice il prete livornese. All’Andana degli anelli c’era la vicepresidente della Regione Toscana, Mia Diop, e c’era l’ex consigliere dem Francesco Gazzetti, la presidente della Svs Marida Bolognesi. Nel giorno in cui Livorno è in lutto cittadino.

C’era il sindaco Luca Salvetti, che ha ricordato come Rispoli sia stato «il motore principale di questa ricerca della verità: lo ha fatto con tutte le sue forze e questo indubbiamente lo ha consumato fino al momento in cui non ce l’ha fatta più». Due i fotogrammi in cui Salvetti riassume il suo rapporto con Loris. L’uno riguarda la notte del 10 aprile ’91 e lui era lì come cronista: «Loris è come se avesse già capito tutto, i suoi occhi erano lo specchio del dramma». L’altro è relativo all’anniversario nel periodo del Covid: «Ho il ricordo della camminata durante il Covid fino a questo punto, io e lui da soli, con la città deserta. In quei momenti mi ha riassunto tutte le sue sensazioni vissute nei 30 anni che ci separavano dalla tragedia».

C’è in realtà anche un terzo scatto: è quello dell’ultimo abbraccio davanti alla lapide delle vittime del Moby Prince. «Ho l’idea che lui in questo momento sia a parlare con Liana a farsi dire qual è la verità, qual è la giustizia». È stato l’esempio – dice Salvetti – di «un uomo con una grande tempra e grande carattere che ha saputo sottolineare e raccontare cosa può fare un cittadino di questa città di fronte all’ingiustizia, al dramma e al dolore».

Pubblicato il
25 Novembre 2025
di MAURO ZUCCHELLI

Potrebbe interessarti

Avanti adagio, quasi indietro

Potremmo dire, parafrasando Guido Gozzano, che tra gli infiniti problemi che riguardano il nostro mondo attuale, tra guerre e genocidi, ci sono anche le “piccole cose di pessimo gusto”. Tra queste c’è l’incredibile vicenda...

Editoriale
- A.F.
Leggi ancora

Se Berta ‘un si marìta…

…“E se domani…” diceva un antico refrain musicale. Riprendo le valide considerazioni del nostro direttore sulla sorprendente impasse di alcune nomine presidenziali nelle Autorità di Sistema Portuale soffermandomi su Livorno: Gariglio è stato tra...

Editoriale
- A.F.
Leggi ancora

Per difendere la pace…

Guerra e pace, più guerra che pace: sembra l’amara, eterna storia dell’uomo. Così, per preservare la pace, sembra proprio che non ci siano che le armi: si vis pacem, para bellum, dicevano nell’antica Roma....

Editoriale
- A.F.
Leggi ancora

Sempre più droni sul mare

Se ne parla poco, specie dei più specializzati: come quelli subacquei della Wass di Livorno per Fincantieri, o quelli sempre italiani, costruiti però in Romania dall’ingegner Cappelletti della livornese ex Galeazzi. Però adesso Fincantieri,...

Leggi ancora

Porti teu in overcapacity?

Riforma della riforma portuale: l’articolato Rixi che abbiamo anticipato – che naturalmente deve passare anche dalle Camere – punta dunque a coordinare lo sviluppo degli scali, oggi lasciato eccessivamente alla potenza dei singoli “protettorati”...

Editoriale
- A.F.
Leggi ancora
Quaderni
Archivio