Questi due fratelli toscano-californiani rivoluzioneranno l’intelligenza artificiale
La loro società Anthropic è figlia di un approccio umanistico: hanno lasciato i vertici di OpenAI per la piega tecno-autoritaria

Daniela e Dario Amodei, i fratelli tosco-californiani che stanno rivoluzionando il mondo dell’intelligenza artificiale con un approccio “umanistico”
LIVORNO. Le colpe dei padri non ricadranno sui figli ma forse le virtù un po’ sì: forse vuol dire qualcosa che l’intelligenza artificiale dal volto umano nasce sì nella Silicon Valley ma ha le proprie radici qui da noi, in Toscana. È di Massa Marittima, Riccardo Amodei che negli anni ’70 ha fatto la valigia insieme alla moglie Elena Engel, una ragazza ebrea, americana di Chicago, che ha conosciuto in Italia dove lei poco più che ventenne era venuta a vivere. Ora fanno il viaggio a ritroso nella patria di lei. Ma destinazione California: poco dopo, a San Francisco, nasce Dario e, quattro anni più tardi, Daniela. Immigrati di prima generazione, per chiamare le cose con il loro nome: almeno tre su quattro di loro.
Chissà se c’entra qualcosa il fatto che i genitori dei fratelli Amodei siano lui appartenente alla lunghissima tradizione dell’artigianato toscano della pelle e lei una manager che lavora per librerie e biblioteche: babbo Riccardo ha negli occhi uno scrigno di Maremma che è l’umanesimo di una magnifica cattedrale dalle linee severe ma non algide, all’interno una straordinaria Madonna di Duccio di Buoninsegna.
Chissà se vuol dire qualcosa il fatto che quel tipo che per il mondo è il “Signore degli Anelli della Tecnologia”, Elon Musk, è un bianco che viene dal Sudafrica dell’apartheid e ha alle spalle un padre che ha una miniera di smeraldi in Zambia, dove magari lavorare non è piacevole come passare i fanghi alle terme di Salsomaggiore. Lasciamo perdere il nonno perché su quello ne hanno già dette di tutti i colori: diciamo che non era fra i più accaniti ultrà di Nelson Mandela.
Non è il solo: è una congrega di personaggi che vediamo dare per scontata la fine della democrazia dal punto di vista dell’ “efficientamento” – usano parole atroci – del (loro) sistema: una sorta di turbocapitalismo della tecnosorveglianza che dovrebbe certificare l’inutilità della democrazia nell’era del nuovo capitalismo. Vedi alla voce: Peter Thiel, per dirne uno. Manco a dirlo, altro tolkenianissimo: farà i soldi a palate con il “clan di Paypal” ma agli inizi trova pure il solito parente che gli dà i primi 100mila dollari da buttare via tanto per cominciare a giocare con i soldi.
Ecco, adesso in rotta di collisione contro tutta questa sarabanda di marziani, saltano fuori i due fratelli tosco-californiani e la musica è un’altra. Lui, Dario, classe ’83, è un cervellone che ha rimbalzato fra Stanford e Princeton –due fra le dieci migliori università dell’intero pianeta, qualsiasi tipo di classifica possiate consultare – ma con l’ampiezza delle conoscenze che spazia dal dottorato in biofisica al post-doc in medicina. E la sorella minore? Lei Daniela ha un identikit ancor meno allineato con l’anaffettività del Genio: laurea con lode in letteratura inglese, volontariato o impiego nel terzo settore in organizzazioni che si occupano di giovani fragili, di promuovere lo sviluppo economico di Paesi poveri o, in Uganda, a difendere specie in estinzione come i gorilla ma creando un contesto sostenibile dal punto di vista sociale per le popolazioni. Poi la politica, guidando le truppe ma nelle retrovie: in un collegio in mano da vent’anni ai repubblicani aiuta il trionfo di un avvocato democratico, esponente dell’ala più progressista del partito.
Poi questo talento da regista organizzativo lo riversa al fianco del fratello, anche lì un passettino indietro, nell’ascesa di Dario fino alla plancia dirigenziale di Google e poi alla vicepresidenza di OpenAI. Sbattendo però l’uno e l’altro la porta quando hanno capito che ormai era persa la loro battaglia per una intelligenza artificiale “amica” e “etica”. Utile cioè a diffondere i benefici sulla larga platea della popolazione anziché sulla solita cricca di super-ricchi. E anche qui: chissà se è causale ogni riferimento (mio) ai mille miliardi di dollari di compenso in dieci anni, secondo quando stabilito dagli azionisti di Tesla per Elon Musk con il voto decisivo dei giganti della finanza a stelle e strisce (BlackRock, Vanguard e State Street): l’equivalente di dieci volte l’attuale fatturato annuo o dell’80% della capitalizzazione di borsa.
Sia chiaro, i fratelli Amodei non sono frati trappisti col voto di povertà: hanno un patrimonio che “Forbes”, la bibbia per questo tipo di graduatorie, stima in 3,7 miliardi di dollari a testa, valgono per loro qualche gradino sotto il millesimo posto fra i più ricchi al mondo.
L’intelligenza artificiale, a dar retta agli analisti di “Cb Insight”, ha messo le ali ai bilanci aziendali (e ai portafogli individuali). Dipende forse dall’enorme liquidità a giro per il mondo in cerca di collocazione? Secondo questo team di intelligence finanziaria, quartier generale nel cuore di New York, 7 minuti a piedi da Times Square, quest’estate esisteva mezzo migliaio di “unicorni dell’intelligenza artificiale”, cioè con almeno un miliardo di dollari di valore. Una su cinque sono nate negli ultimi due anni. Tutte insieme valgono più di 2.700 miliardi di dollari: assai più del Pil dell’Italia tutta intera. “Fortune” dice che non si riscontrava qualcosa del genere da una ventina d’anni: dal boom che portò all’esplosione di Google e Facebook, per dirne un paio. “Bloomberg” segnala che l’arricchimento personale dei grandi capi delle principali aziende private dell’intelligenza artificiale ha creato almeno una quindicina di miliardari con una montagna di ricchezza individuale complessiva poco sotto i 40 miliardi di dollari.
Gli strumenti di intelligenza artificiale hanno dato vita a una nuova economia della visibilità per emergere dagli abissi del commercio online. Risultato: le indagini più aggiornate fanno emergere il fatto che adesso nelle ricerche si prende per buono quel che sputa fuori ChatGpt: basta uscire fuori dalle cose più banali e i risultati sono sconfortanti, basta fare un test su campi specifici come la portualità, tanto per restare in casa. Peggio di un liceale che non ha studiato e si barcamena arrangiandosi. Dunque, una enormissima capacità di fare connessioni e computazioni ma occhio al rischio di finire in un campo di patate come nei (vecchi?) navigatori.
Ecco, di fronte a aspettative gigantesche (anche da parte di chi ha messo alla roulette una puntata da qualche miliardo), reggimenti di ingegneri sono stati messi al lavoro per correggere l’inaffidabilità di molte risposte. Basta che sbagli nel 10% dei casi: usereste un paracadute che si apre nove volte su dieci ma la decima no?
La novità è il “terremoto” che, ad opera dei due tosco-californiani, sembra profilarsi all’orizzonte. Proprio in questi giorni la società Anthropic dei fratelli Amodei ha messo la freccia e si prepara a sorpassare OpenAI, la “mamma” di ChatGpt. Secondo quanto rivela il “Financial times”, l’antagonista dell’intelligenza artificiale stile ChatGpt è intenzionata a farsi quotare in borsa nel nuovo anno che sta per cominciare. Il quotidiano economico internazionale insiste su una indiscrezione: per fare tutti i passi giusti in direzione della quotazione è stato scelto lo studio legale Wilson Sonsini, una équipe che l’ha già fatto per Google, ad esempio. Non solo: informalmente sono stati presi contatti con grandi banche d’investimento. Non è cosa di domattina, ma…
Non è semplicemente un altro protagonista che si affaccia sul ring e in questo “wrestling” fra superstar imprenditoriali selezionare quello che sta in piedi: ma come se sostanzialmente l’uno valesse l’altro. No, qui l’ “eroe buono” c’è: Anthropic, appunto. Che fin dal nome mette l’accento sul fatto di voler essere “a misura di persona”. Di più: l’azienda è stata fatta decollare come “società benefit”, cioè attenta alla responsabilità sociale d’impresa prima ancora che alla massimizzazione del profitto, costi quel che costi e crepino tutti gli altri. Beninteso, anche OpenAI mette l’accento sul fatto di essere “aperta” ma quanto si sia perso dello spirito iniziale lo spiega Karen Hao già oltre cinque anni fa, un istante prima dell’esplosione dell’emergenza Covid, sulla rivista del Mit, un “giacimento” di cervelli in zona Boston: da un lato, la retorica sull’aperturismo; dall’altro, l’impenetrabilità dei segreti aziendali.
È quel che spinge i due Amodei a lasciare le posizioni in plancia di comando (soprattutto lui che è arrivato a essere vicepresidente sul fronte della ricerca: a dicembre 2020, via dai vertici di ChatGpt e si comincia l’avventura di una intelligenza artificiale di tipo meno disumanizzato, meno figlio di quel “capitalismo della sorveglianza” a firma di Shoshana Zuboff (paradossalmente editato non da una piccola casa anarchica ma dall’università di Confindustria).
Il battesimo del fuoco l’ha avuto, quando due anni e mezzo dopo l’addio a OpenAI, la Casa Bianca dell’era Biden ha deciso di chiamare un poker di cervelli al tavolo della vicepresidente Kamala Harris: c’era Sam Altman, al timone di Open AI; c’era Sundar Pichai, leader di Google; c’era Satya Nadella, ai vertici di Microsoft. E il quarto? Dario Amodei con la sua “creatura”: una intelligenza artificiale chiamata “Claude” come se fosse l’amico nerd della porta accanto.
Da allora gli Amodei si sono ritagliati un profilo un po’ Adriano Olivetti un po’ Brunello Cucinelli, sia detto un po’ parecchio a spanne. Con Dario che in interviste e interventi ha già messo sul tavolo la questione sociale incandescente che l’intelligenza artificiale farà esplodere: metà dei posti di lavoro di tipo impiegatizio, fino a ruoli funzionariali per laureati “normali”, rischiano di essere spazzati via dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Stiamo parlando di milioni di posti di lavoro, e per una fascia di popolazione che non avrà il master a Oxford ma comunque è grossomodo identificabile nel ceto medio. Il loro posto nel mondo rischia di non esserci più: le mansioni le incorpora la macchina e non gli operai a bassissima qualifica ma i diplomati o quanti hanno una generica laurea breve corrono il pericolo di non aver più un ruolo spendibile nel mondo che verrà. Amodei l’ha detto: pensiamoci per tempo prima che questo uragano sociale arrivi.
Mauro Zucchelli











