Crescono gli occupati, i redditi no: è l’ondata del “lavoricchio povero”
Le assunzioni con il freno a mano, e in Toscana calano

Operai al lavoro in officina
FIRENZE. In Italia, nel primo trimestre del 2025, «l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, è aumentato dell’1,0% rispetto al trimestre precedente e dell’1,1% nei confronti del primo trimestre 2024. Nello stesso periodo il Pil è cresciuto dello 0,3% in termini congiunturali e dello 0,7% in termini tendenziali». Potrebbe essere un indizio implicito del fatto che si tratta di lavoro “povero”, talvolta un “lavoricchio”, o comunque pagato poco, se è vero che quelle ore in più si sono trasformate in un incremento del Pil così modesto.
Questo potrebbe spiegare come si tengono insieme gli annunci del governo Meloni e il rapporto della Caritas sull’espansione della povertà in Italia: da un lato, il governo che magnifica i numeri sull’aumento del numero degli occupati a livelli senza precedenti; dall’altro, la Caritas che suona l’allarme perché nel nostro Paese la percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale è salita ancora (dal 22,8% al 23,1%) e in tutto il continente europeo solo sei stati se la cavano peggio di noi (siamo appena al di sopra di Bulgaria, Romania, Grecia, Spagna, Lettonia e Lituania). L’Istat rileva che quasi un abitante su dieci (9,7%) vive in uno stato di “povertà assoluta”.
Il report Caritas non si nasconde dietro un dito: «Il lavoro smette di rappresentare un’efficace barriera: il 16,5% degli operai o figure assimilate sperimenta condizioni di povertà assoluta e complessivamente il 21% dei lavoratori ha un reddito troppo basso per vivere in modo adeguato». Di più: dal 2008 al 2024, la perdita complessiva del potere d’acquisto dei salari è stata dell’8,7%, dato peggiore tra tutti i Paesi del G20 (fonte: Ilo, l’agenzia Onu che si occupa di lavoro e giustizia sociale). E, contrariamente al tam tam della propaganda, nessuno può chiamarsene fuori: Forza Italia è stata al governo (anche come Pdl) per 143 mesi su 192, Fratelli d’Italia (anch’esso presente nel Pdl) 122 mesi, la Lega 115, il Pd 107, il M5s 54 e via dicendo…
Ma non è su questo che l’ultimo report di “Flash Lavoro”, trimestrale di informazione dell’Osservatorio regionale del Mercato del lavoro, appena pubblicato dall’Irpet, vuol richiamare l’attenzione. Semmai interessa puntare lo sguardo sul fatto che, se l’Italia non brilla ma perlomeno riesce a stare nel campo “più” anche se è una crescita poco più che “zero virgola”, qui fra la Lunigiana e la Maremma nemmeno quello: «Nel primo trimestre del 2025, così come nel corso del 2024», il mercato del lavoro in Toscana – viene sottolineato – è stato caratterizzato «dal calo delle assunzioni e dal conseguente rallentamento del ritmo di crescita: 27mila le nuove posizioni lavorative create contro le 31mila dello stesso periodo 2024 (meno 10,7%)».
Il report indica che «la diminuzione delle assunzioni è diffusa tra i settori», e il peso di alberghi, bar, pub e ristoranti si è fatto sentire anche per via del loro peso numerico. Non è andata meglio a buona parte delle attività manifatturiere: in particolare nel comparto della moda i guai si sono fatti sentire in maniera maggiore.
Meno assunzioni ma anche meno fughe verso l’uscita, che sia per pensione o altro: ecco che gli addetti dipendenti sono comunque «ancora in crescita seppure a un tasso più contenuto (più 1,9% mentre era più 3,1% nel primo trimestre dell’anno scorso), trainati dall’occupazione a tempo indeterminato, grazie soprattutto all’aumento delle trasformazioni, mentre calano apprendisti e contratti a termine». Tra i settori la manifattura – viene fatto rilevare – registra l’aumento più contenuto («e, al suo interno, il Made in Italy perde dipendenti con diminuzioni significative per le lavorazioni legate alla pelle»). Invece gli aumenti più consistenti, dove? Nella produzione di macchine e apparecchi meccanici e elettrici, nell’industria alimentare e nella farmaceutica, dice il dossier. Nel terziario i servizi turistici sono «ancora in aumento seppure con minore intensità rispetto al primo trimestre 2024 e appaiono in difficoltà i sistemi locali del turismo balneare».
L’indagine Istat sulle “forze di lavoro” traccia l’identikit di «una dinamica stagnante dell’occupazione complessiva, lavoro autonomo e dipendente, con un numero di occupati uguale a quello del primo trimestre 2024 (con 31mila uomini in meno e 31mila donne in più), e un tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni pressoché allo stesso livello: 70,1% contro 69,9%. La cifra relativa ai disoccupati scende: a paragone del primo trimestre 2024 vi sono 4mila senza lavoro in meno. Ma ci siamo lasciati alle spalle due annate in cui cui si registravano «tra 14mila e 24mila» disoccupati in mani. E questo solo grazie alla componente femminile: tra gli uomini il tasso di disoccupazione aumenta, «probabilmente in conseguenza della difficile congiuntura della manifattura».
Nell’approfondimento dedicato agli immigrati in Toscana (ma anche alla loro partecipazione al mercato del lavoro, ai loro redditi, a quale rischio povertà hanno e quale accesso ai servizi di welfare riescono a ottenere in concreto), l’indagine di Donatella Marinari e Letizia Ravagli mostra che nella fascia di età 15-64 anni il 25% degli stranieri è escluso dal mercato del lavoro, il doppio di quel che accade fra gli italiani (12%).
Tra il 2008 e il 2023, gli occupati in età 20-64 anni sono aumentati di 41mila persone (più 2,7%): la crescita è «dovuta interamente agli stranieri (47mila in più)», mentre si sono contati 6mila italiani in meno. La presenza di lavoratori stranieri è concentrata in «pochi settori caratterizzati da salari modesti e un elevato rischio di occupazione poco qualificata, instabile e con orari ridotti». Questo non è senza conseguenze sulla busta paga: nel 2023 – si afferma – un lavoratore straniero tra 15 e 64 anni «guadagnava in media il 33% in meno rispetto a un italiano». Senza contare che «vivono più spesso in famiglie con meno persone occupate e carichi familiari maggiori».
Al tirar delle somme, la quota di famiglie straniere con redditi bassi è superiore: le condizioni di “grave deprivazione materiale e sociale” arriva al 7,5% del totale delle famiglie fra gli stranieri, ben più del triplo che fra gli italiani (2,1%). Ancor di più questo vale sul fronte del rischio di povertà: riguarda il 26,3% delle famiglie di origine straniera (contro 7,7% di quelle italiane).
Il paradosso è nel chi paga il welfare. Nessun commento ma Marinari e Ravagli segnalano che, benché si trovino in condizioni economiche più svantaggiate, «gli stranieri contribuiscono in misura maggiore degli italiani al finanziamento dei servizi sociali del welfare: il saldo fiscale medio per gli immigrati è di 4.965 euro (contro i 1.550 euro degli italiani)». Beneficiano maggiormente dei trasferimenti assistenziali (53% contro 33%), ma – si sottolinea – una volta considerati i peggiori indicatori socio-economici, «non emergono significative differenze nell’accesso ai servizi del welfare tra italiani e stranieri».
Mauro Zucchelli