L’India, i pirati, i dubbi
ROMA – Per fortuna non sempre le indiscrezioni giornalistiche rispondono alla realtà. Ripeto: per fortuna. Perché a leggere nei giorni scorsi alcuni giornali che riferivano della riunione all’ONU sulla pirateria somala, l’indiscrezione raccolta su una possibile offerta riservata dell’India in merito ai due nostri marò trattenuti con l’accusa di aver ucciso due pescatori, ci sarebbe da rimpiangere la “politica delle cannoniere”. Il quotidiano Libero l’ha bollata come proposta indecente: ovvero la libertà dei due marò in cambio del rilascio dalle carceri italiane di un centinaio di indiani, peraltro tutti accusati di delitti comuni.
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Ripeto per la seconda volta: spero che sia una balla. Ma certo che i continui rinvii di una sentenza (peraltro illegittima secondo tutte le leggi internazionali) da parte dell’alta corte di giustizia del Kerala non aiutano a pensar bene. E al danno per Salvatore Girone e Massimiliano La Torre, trattenuti ormai da quasi otto mesi dopo un truffaldino arresto (“Questa vicenda – ha dichiarato lo stesso ministro degli esteri Giulio Terzi – è nata con un inganno da parte delle autorità indiane”) si aggiunge adesso anche la beffa, perché all’ONU il ministro degli esteri indiano Krishna ha dichiarato che il suo paese “attribuisce la massima priorità alla lotta alla pirateria”. Ed ha rivendicato con orgoglio il fatto che proprio l’India presiede dallo scorso settembre il “gruppo di contatto” navale contro la pirateria al largo della Somalia. Dei due marò italiani, che hanno difeso la loro nave da quello che sembrava un attacco di pirati, nemmeno una parola.
Anche sugli sviluppi dell’inchiesta, i dubbi si aggiungono ai dubbi. C’è chi riferisce che molti pescherecci indiani – come quello che fu protagonista della vicenda del 15 febbraio – hanno come abitudine quella di puntare minacciosamente contro le navi in transito, non tanto per velleità piratesche quanto perché credono in questo modo di farle deviare dalle loro reti, stese più o meno illecitamente in acque dove il traffico navale è sostenuto. Si spiegherebbe così l’equivoco in cui caddero i due marò, vedendo le manovre aggressive del peschereccio indiano. Ma non si spiega però il non secondario dettaglio secondo il quale la perizia medica sui due pescatori colpiti dalle raffiche attribuite agli italiani avrebbe stabilito che il calibro dei colpi non corrisponde a quello delle armi dei marò. Una perizia medica, per di più, svolta da esperti indiani su mandato del tribunale indiano. Da qui la tesi più volte sostenuta dai nostri diplomatici che i due poveri pescatori siano stati uccisi in un altro episodio, nello stesso giorno del passaggio della nave italiana, con la differenza che chi davvero sparò se l’è svignata senza cadere nel tranello che ha portato l’unità italiana a farsi mettere sotto sequestro.
Ci sono, insomma, troppi interrogativi su una vicenda che l’Italia sembra voler continuare a gestire sottotono, più preoccupata di eventuali ricadute nel commercio con l’India che non della sorte dei nostri due marò. Per i quali si moltiplicano – e ne prendiamo atto con piacere – i “nastri gialli” non solo tra i militari ma anche tra i rappresentanti delle istituzioni e i semplici cittadini. Un segnale di solidarietà che ripetiamo anche su queste pagine, nella speranza che la vicenda si concluda finalmente con la liberazione dei due nostri soldati.
A.F.
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