Così il “popolo delle barchette” viene condannato alla ritirata
Il bluff dell’elettrico e tutto resta inchiodato al vecchio 4 tempi a benzina
LIVORNO. Chi vive o frequenta una città di mare ha sempre davanti agli occhi il mondo delle barchette: che poi quello della nautica “popolare”, aggrappata a ogni lembo di pontile, di mandracchio, di canale o fosso che sia. Si dice che solo nei Fossi Medicei di Livorno ci siano 5mila barchette: forse è esagerato, ammettendo insieme la foce dello Scolmatore e i rigagnoli che vi sboccano, dovremmo esserci.
Bene. Anzi, male. Perché il recente salone di Genova ha confermato che nel grande exploit – specie all’export – della nautica italiana, sono proprio quelli delle barchette in ritirata. L’abbiamo già accennato: costi in crescita esagerata, problemi (e costi) di ormeggio e rimessaggio, crescenti vincoli di navigazione costiera per estendersi delle aree “protette” (dove però basta pagare il ticket perché la protezione non ci sia più), eccetera.
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Generalizzando molto – capisco che ci sia anche il rischio di generalizzare troppo – si ha la sensazione che il target della “piccola” nautica si stia spostando in alto: i costruttori preferiscono vendere un gommone (?) di 10 metri piuttosto di dieci da 5 metri, e ci puntano sempre di più. Nel piccolo panorama fotografico che allego si vede un maxi Capelli di 16 metri con quattro mostruosi fuoribordo per totali 1.800 hp, la potenza di una mezza dozzina di Ferrari, costo superiore a un appartamento in riviera. Ed è stato pure venduto. In compenso le un tempo famose Gabbianelle, scafetti in vtr da 5 metri, esistono solo per chi ce l’ha da anni e se la tiene come una reliquia.
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Poi c’è il grande bluff dell’elettrico. Sia chiaro: un motore endotermico inquina e uno elettrico invece non dovrebbe (salvo poi dover smaltire le batterie e allora va anche peggio: ma all’inizio non si vede…). Però i grandi brand mondiali se ne stanno tenendo lontani, salvo Mercury che offre un Avator 110e, equivalente di un 15 cv, che però ha un’autonomia di meno di un’ora andando piano, salvo non stracaricarsi di batterie, da portare poi a casa per ricaricarle. Gli elettrici vanno benissimo sulle potenze minime, per i gommini adatti come pram, che si portano a casa come un ombrello. Ma ad oggi, niente di più o quasi. Yamaha, primo marchio al mondo come vendite, consapevole del problema, ha presentato un prototipo elettrico a idrogeno ma avverte: campa cavallo… Avevamo visto due anni fa un gommone Navia di 6 metri spinto da un Evoy elettrico che prometteva 120 cv “equivalenti” con batteria da 60 kw: il coraggioso promotore, l’italiano La Via, non mi pare al momento abbia sfondato. E gli Evoy norvegesi, con potenze adatte alle imbarcazioni fino a 10 metri, ancora sono mosche rare, o rara avis come dicevano ai tempi di Cicerone.
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Ci sarebbe ancora molto da dire su tecnologie e futuro della piccola nautica: ma la realtà odierna è che il cavallo piange perché i costi si sono impennati, il potere d’acquisto delle famiglie è calato: e sui fuoribordo rimane imperante la solita, solida, testarda tecnologia dei 4 tempi a benzina. Con i senzapatente da 40 cv (che in realtà arrivano in alcuni casi ad erogarne anche 60: e tutti lo sanno ma tiremm’innanz) e i mostri da 450 cv che costano 70mila euro e spiccioli. I propulsori leggerissimi, economici e di libero utilizzo? Certo che ci sono: ormai sono quasi sconosciuti, ma si chiamano remi. E non tradiscono mai.
A.F.