Visita il sito web
Tempo per la lettura: 3 minuti
DOSSIER MINDWORK BVA DOXA

La “generazione Z” non ci sta a soffrire per il lavoro: per il 61% meglio licenziarsi

Il termometro non basta: quasi la metà ha fatto assenze per “malessere emotivo”

MILANO. Li hanno battezzati “Digitarians” o “i-Gen” per dire che sono stati svezzati a biberon e smartphone, magari “Centennials” o “Post-Millennials”, peggio ancora “Zoomers”: in realtà, nient’altro che “Generazione Z”, cioè chi non è più un ragazzino e non è ancora un adulto. La loro fotografia sul posto di lavoro dice che forse fra i “colletti bianchi” se la cavano meglio degli altri: anzi, il 36% di loro si sente bene sul luogo di lavoro e parla di “benessere elevato” (la media arriva a malapena al 26%). Però sono anche piuttosto decisi quando non è più il momento di subire, quando è il momento di fermarsi di fronte a un disagio che magari si misura male con il termometro: «Quasi  uno su due (46%) dichiara assenze per malessere emotivo e oltre sei su dieci (61%) ha lasciato un impiego per tutelare la propria salute psicologica».

Sono questi alcuni degli elementi che saltano fuori dall’indagine compiuta dall’Osservatorio Mindwork Bva Doxa, che punta il dito sullo stato di stress che gran parte delle persone sente addosso nei luoghi di lavoro: nel dossier relativo a quest’anno «il 49% dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia sperimenta elevati livelli di stress lavoro correlato» e se si sale qualche gradino nella gerarchia aziendale le cose vanno pure peggio: fra i dirigenti siamo al 58%.

Occhi puntati anhe sul fenomeno del “burnout”: si manifesta – viene fatto rilevare – nella sensazione di sfinimento e «interessa complessivamente oltre sette lavoratori su dieci». Colpa di cosa? Secondo l’indagine in questione i fattori scatenanti più citati sono «il sovraccarico di lavoro e, nel caso dei dirigenti, il senso di impotenza legato alla responsabilità del ruolo». Quando il “burnout” si presenta, porta a una diagnosi per una persona su cinque. Da segnalare che viene precisato che «i giovani rappresentano la categoria di lavoratori che necessita di più tempo per recuperare: 7,6 giorni di assenza in media, contro i 6,2 degli impiegati nel complesso e i 7,0 dei dirigenti».

Non manca una sottolineatura dedicata alla leadership, e qui vengono a galla problemi tutt’altro che trascurabili: ad esempio, riguardo alla differenza che c’è come si autopercepiscono i dirigenti e la valutazione che arriva invece dal team che hanno intorno: la ricerca dice che «l’84%% dei manager si considera in grado di promuovere un clima di fiducia e ascolto», ma è una percentuale che va dimezzata agli occhi dei subalterni, visto che «solo il 42% dei collaboratori riconosce questa qualità nei propri responsabili». Di più: «l’81% dei leader ritiene di essere in grado di riconoscere i segnali di malessere nel proprio team», ugualmente la percentuale praticamente si riduce a neanche la metà (40%) se si dà ascolto ai collaboratori (40%).

Proprio questa differenza – viene messo in evidenza – potrebbe aiutare a segnalare la ragione per cui i manager sentono la difficoltà nel mantenere alto il coinvolgimento e la motivazione del team. È il problema principale per il 33% dei manager coinvolti nella ricerca (loro in realtà la chiamano ovviamente “sfida”): più del doppio delle difficoltà riguardanti la gestione dei conflitti (15%) o il mantenimento della coesione di gruppo (15%).

Vale la pena di accendere una luce sul tema dell’equità e dell’inclusione: ad esempio, il 49% degli impiegati percepisce la propria azienda come «attenta alle pari opportunità», la percentuale raggiunge un picco del 69% tra i dirigenti. Resta però avvertito come complicato riuscire a parlare liberamente del proprio disagio psicologico in azienda: si sente libero di farlo «solamente il 30% del campione».

Queste le parole di Biancamaria Cavallini, responsabile scientifica di Mindwork: «Emergono due aspetti fondamentali: da un lato, i leader tendono a darsi una valutazione più positiva di quanto non facciano i loro collaboratori, con il rischio di impattare negativamente sul livello di coinvolgimento e di benessere di essi;  dall’altro, la “Generazione Z” non è affatto disinteressata, ma è semmai la più attenta a condizioni di lavoro sane e significative». Aggiungendo poi: «Sono segnali che ci ricordano come la qualità delle relazioni e la cultura organizzativa abbiano un impatto diretto e immediato sul benessere psicologico delle persone, e che le organizzazioni hanno oggi la responsabilità e la necessità di trasformare questa consapevolezza in azioni concrete in grado di produrre benessere».

Così Mario Alessandra, fondatore e amministratore delegato di Mindwork: «Se li guardiamo in prospettiva, i dati ci raccontano due grandi tendenze: anno dopo anno la salute psicologica si afferma sempre più come un fattore imprescindibile nella vita delle organizzazioni e le nuove generazioni non hanno paura di metterla al centro delle loro scelte professionali. Allo stesso tempo, il “burnout” resta un tema trasversale su cui molte aziende stanno già investendo attenzione e risorse. Questo dimostra come, per le organizzazioni, investire su benessere, leadership consapevole e inclusione non sia più un extra, ma una condizione necessaria per sostenere la competitività aziendale nel medio e nel lungo termine. La produttività non potrà più prescindere dalla qualità delle relazioni umane e dalla capacità di costruire comunità di lavoro coese e inclusive».

Pubblicato il
2 Ottobre 2025

Potrebbe interessarti

“Non solo editore”

È stato, per chi l’ha conosciuto, un maestro di vita: appassionato del mare, del bello scrivere e anche delle gioie che possono venirne. Uomo di cultura, mai ostentata ma semmai offerta con un filo di...

Editoriale
- A.F.
Leggi ancora

Nautica e navigatori al Salone di Genova

Passata la festa, diceva un vecchio proverbio un po’ blasfemo, gabbato lo Santo. Passato il Salone Nautico di Genova, appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati, sono state tirate le somme: ufficialmente, la nautica italiana...

Editoriale
- ANTONIO FULVI
Leggi ancora

Il neo-kompanjia Stachanov

Il kompanjia Aleksej Stachanov in confronto era, come si dice da noi, uno scansafatiche: cioè robetta. Perché oggi l’avvocato Matteo Paroli copre in contemporanea due cariche da far tremare le vene ai polsi. È...

Leggi ancora

Per la guerra per la pace

C’è qualcosa di nuovo oggi nel cielo. No, non è l’aquilone della poesia di Giovanni Pascoli, quella che noi anziani dovevamo studiare a scuola. Il qualcosa di nuovo sono i droni: diventati in poco...

Leggi ancora

Tasse e governi

C’è la stagione di tutte le cose e di tutte le passioni. Questa d’oggi, per dirla come lo scrittore americano John Steinbeck, è quella “del nostro scontento”. Scontento? Noi del ceto medio siamo ancora una...

Leggi ancora

Hic sunt leones

Può anche darsi che, come spesso accade, l’allarme lanciato ai primi del mese dall’ammiraglio Enrico Credendino risponda anche all’altro celebre detto latino  Pro Domo Sua, riferito come noto a Cicerone. Però il capo di...

Leggi ancora
Quaderni
Archivio