La “carota” dei record: dagli abissi a 520 gradi per celebrare la geotermia toscana
In esposizione al Dipartimento di scienze della terra fra i campioni che fanno la storia

Da sinistra: Giovanni Zanchetta, Geoffrey Giudetti, Giovanni Ruggieri
PISA. La “carota” è stata estratta dal terreno durante la perforazione del pozzo denominato “Venelle 2”, nel territorio comunale di Monterotondo Marittimo (Grosseto): inizialmente perforato nel 2006 e poi selezionato nel 2015 per il progetto europeo denominato “Descramble”. E perché Enel Green Power, Università di Pisa e Cnr, che collaborano nella ricerca geotermica, hanno deciso di metterla in evidenza in una teca – quasi un ospite d’onore – nella sede del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa?
Lo spiegano dal quartier generale dell’ateneo pisano, segnalando che lì, nel corridoio espositivo al piano terra, compaiono anche «campioni delle rocce profonde di Larderello insieme alle capsule d’oro, servite nella tecnica innovativa di misura della temperatura nel pozzo pari a 515-520°C».
L’obiettivo del progetto – viene sottolineato – era sostanzialmente uno: mostrare la possibilità di perforare in sicurezza ambienti geotermici ad elevata temperatura, «raggiungendo l’orizzonte K, noto in campo scientifico come sede potenziale di condizioni termiche elevate e non investigate prima nell’attività geotermica». Ci si era dati l’obiettivo scientifico di «sviluppare e testare nuovi materiali e metodi per la perforazione»: la progettualità ha dato «risultati soddisfacenti in linea con le finalità del progetto».

La carota della perforazione geotermica dei record
È per ricordare questo passo in avanti sulla frontiera dell’esplorazione geotermica che i tre soggetti hanno messo la “carota” nella teca in una collocazione che già ospita «numerosi campioni di minerali e rocce che descrivono la storia geologica della Toscana e la sua ricchezza di risorse naturali», com’è stato detto.
La nuova esposizione è a disposizione degli studenti e del pubblico: è stata inaugurata con il convegno “Il calore della Terra”, al quale sono intervenuti il prorettore vicario dell’Università di Pisa Giuseppe Iannaccone, il direttore del Dipartimento di Scienze della Terra Giovanni Zanchetta, il geologo del team Centro di Eccellenza Geotermico di Enel Green Power Geoffrey Giudetti, il dottor Giovanni Ruggieri dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr e la dottoranda con indirizzo geotermico dell’Università di Pisa Evelina Dallara.
Il reperto è anche l’emblema dell’«eccellenza della geotermia toscana in tutta la sua filiera, da quella della ricerca scientifica fino alla produzione», puntualizza l’ateneo pisano. «A Larderello e in Toscana – si afferma – Enel Green Power gestisce «il più antico e allo stesso tempo innovativo complesso geotermico del mondo, che conta 34 centrali geotermoelettriche, per un totale di 37 gruppi di produzione, dislocate tra le province di Pisa, Siena e Grosseto». Stiamo parlando di una produzione annua di «quasi 6 miliardi di chilowattora»:
- soddisfa «più del 30% del fabbisogno elettrico regionale»;
- rappresenta «il 70% delle rinnovabili prodotte in Toscana»,
- forniscono «calore utile a riscaldare 13mila utenze residenziali, aziende ed esercizi commerciali, oltre a 26 ettari di serre»;
- contribuiscono ad alimentare «un’importante filiera artigianale, agroalimentare e turistica con oltre 60mila visite annue».
In Italia – lo mettono in risalto dall’ateneo pisano – la geotermia è una peculiarità della Toscana: qui iniziò con l’attività per usi chimici avviata nel 1818 da Francesco Larderel, poi Conte De Larderel, e successivamente con «la produzione di energia elettrica resa possibile dall’accensione delle prime 5 lampadine nel luglio 1904 grazie all’intuizione del principe Ginori Conti, cui seguì nel 1913 l’entrata in esercizio della prima centrale a Larderello».