L’esercito delle 2mila donne che inventavano cose impossibili
La prima: nel 1861 una genovese che fabbrica uno strano pianoforte

Il Rettorato dell’Università degli Studi di Pisa
PISA. Il suo “armonitone” era un curioso pianoforte un po’ timido che suonava in modo più soft e controllato, come si conveniva a una donna perbenino: non se ne trova traccia se non in una “Descrizione delle macchine e procedimenti per cui vennero accordati attestati di privativa”, librone datato 1862 edito dal ministro dell’agricoltura, industria e commercio del neonato Regno d’Italia. Di lei, Rosa Predavalle, non state neanche a “googlare” il nome su Maps perché tanto, per quanto se ne sappia, di vie intitolate a lei non ne esiste nemmeno una. Eppure ha fatto la storia: era di Genova ed è stata la prima donna in Italia a ottenere un brevetto.
Questa straordinaria storia di genio italico l’ha scoperta una ricerca di Marco Martinez, docente di storia economica all’Università di Pisa: è stata pubblicata sulla rivista internazionale “Business History”. Ma nell’indagine storica dello studioso non c’è solo la curiosità per questo flash: ha scavato negli archivi per scovare brevetti femminili registrati nel nostro Paese dal 1861 fini al 1939. Censiti per la prima volta: è servito per scoprire che i brevetti di inventrici sono un battaglione (1.878 in tutto). Probabilmente assai più di quanti ognuno di noi avrebbe immaginato: al tempo stesso, sono pochissimi, visto che rappresentano a malapena lo 0,7% del totale. C’è da dire che spaziano in tutti i campi possibili: «Dalla meccanica all’industria tessile, dai trasporti agli armamenti sino alle innovazioni per la casa», spiegano dall’ateneo pisani. Con una chiosa: certo che oggi la situazione è migliore, e tuttavia intanto con il fascismo arrivò «una battuta d’arresto», un arretramento ulteriore che riportò le donne fra le quattro mura domestiche.
Martinez ha passati ai raggi x gli oltre 330mila brevetti depositati in Italia tra l’unificazione con Cavour e Garibaldi e la Seconda guerra mondiale conclusa nel ’45: più di ottant’anni d’Italia messi sotto la lente dell’analisi. La prima che ha passato un rassegna una per una le invenzioni femminili in quel periodo. Presentando lo studio, viene sottolineato che sì in percentuale sono pochissimi, ma il fatto di aver contribuito con quasi duemila invenzioni al tecno-sviluppo del Paese non è cosa da trascurare.
È da segnalare che, al di là dell’ “armonitone”, fra le invenzioni a “firma” femminile troviamo che nel 1918 Francesca Giuseppa Sillani brevetta «una tenda da campo per l’esercito» e Lina Holzer «un economizzatore di combustibile, un dispositivo pensato per migliorare l’efficienza dei fornelli e degli impianti di riscaldamento», solo per citare un paio di casi.
Scandagliando fra le differenti città, lo studio nota la particolare vivacità delle province del “triangolo industriale” (Milano, Torino e Genova), insieme alle grandi città di Roma e Napoli. Ma nella lista figurano anche centri manifatturieri «come Udine, Bergamo, Pisa, Firenze e Salerno». In campo toscano, l’archivio dei brevetti indica «una sorprendente vivacità inventiva». Per dirne una: a Pisa c’è Rosa Pelucchi, che nel 1869 inventa «un sistema di tiratura dei bozzoli, testimonianza della centralità del settore serico nella produzione locale».
Altri casi: nel 1877 Carolina Cappelletto nata Pizzorni del fu Antonio brevetta un sugo al magro, bell’esempio di innovazione alimentare (la conservazione dei cibi era un bel problema…). Tredici anni più tardi, tal Giovanna Bottari brevetta «la Soda Champagne, gassosa, registrato come preparato sanitario».

Brevetto storico per invenzione di una donna
A Firenze e dintorni emerge Francesca Cremonesi: il suo cuscinetto a rulli per un sistema di veicoli ferroviari è l’esempio di come le donne talvolta riuscissero a «muoversi con competenza anche nei settori meccanici tradizionalmente riservati agli uomini». L’invenzione di Adelaide Marchi è stata quella d’una tombola per ciechi, mentre quella di Lina Spinetti e del marito Italo Spinetti registra invece un “francobollo da lutto” e un “francobollo da tassa pubblicitaria sulla corrispondenza”, invece Anna Alessandrini il suo brevetto l’ha speso per materiale didattico che aiuta a insegnare aritmetica a soggetti con disabilità cognitive.
Queste le parole del professor Marco Martinez: «Queste donne furono vere e proprie imprenditrici della creatività, capaci di trasformare idee in soluzioni tecniche e di sfidare barriere legali, culturali e sociali. La nostra ricerca mostra come le dinamiche di genere abbiano inciso profondamente nei processi di innovazione e come il legame tra industrializzazione, cultura e diritti sia stato decisivo nel determinare le opportunità delle donne. Ma le discriminazioni di ieri continuano a lasciare tracce nel presente: ancora oggi, in Europa, solo il 16% dei brevetti porta il nome di una donna».











