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“UNDERWATER”

Là in fondo al mar ci stan dati (e soldi) che corrono…

L’esplorazione e la conquista di quel che si muove sott’acqua: la dimensione subacquea

Paolo d’Amico, presidente del Registro Italiano Navale

ROMA. Gli abissi come lo spazio (e forse i poli, in particolare l’Antartide). È qui che si gioca la prossima Champions League per la supremazia sul mondo. Neanche più si perde tempo a camuffarla da egemonia o da soft power: quel che ci vuole è un bel controllo muscolare e la mascella aggressiva, tanto per far capire l’aria che tira. Non è forse questo il nuovo paradigma?

Negli anni ’60 la competizione Usa-Urss si disputava fra quale sistema tecno-scientifico-industriale sarebbe riuscito a reggere l’esplorazione più straordinaria, adesso no: ammesso che il diritto internazionale non sia ormai carta per metterci i buzzi delle acciughe, c’è un gran dibattere su come ritagliarsi i pezzi di cosmo e come accaparrarseli. Ma ne parleremo prossimamente, qui interessa notare che l’ennesimo confronto ha messo sotto i riflettori “lo sviluppo delle attività e delle installazioni subacquee”, come recita il titolo dell’incontro a Roma, al Grand Hotel Parco dei Principi, per la regia del Registro Italiano Navale (ente privato senza fini di lucro e socio fondatore di Rina spa) in tandem con The European House Ambrosetti (Thea), club di cervelli che si presenta come primo in Italia fra i “think tank” privati e quarto in Europa sul fronte della consulenza e dell’elaborazione di scenari.

Cavo sottomarino per trasmissione dati

Sotto i riflettori quel che chiamano l’ “underwater”, cioè lo spazio geografico sotto il pelo della superficie del mare, «ormai riconosciuto come un dominio chiave per garantire la sicurezza delle informazioni e l’approvvigionamento energetico». Manco a dirlo: settore «in forte espansione», traino di «tecnologie sempre più avanzate e competenze specialistiche», con un gran «ventaglio di applicazioni: dalla posa e gestione dei cavi sottomarini fino all’estrazione mineraria marina».

Basti dire che «si stima che il 99% dei dati informatici intercontinentali viaggi tramite cavi sottomarini»: e se pensate che parliamo di gattini, like e piatti di sushi vi sbagliate di grosso. Sono infrastrutture talmente fondamentali per garantire i collegamenti di traffico web, di telefonia, di contenuti video, ma soprattutto sono le “autostrade dei dati” che in fondo al mare fanno viaggiare le transazioni finanziarie: uno studio dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) indica che ogni giorno passano da lì 10mila miliardi di dollari.

È vero che difficilmente un singolo guasto può isolare del tutto uno spicchio del mappamondo: i collegamenti sono una rete e possono essere instradati per percorsi alternativi. Ma talvolta gli affari, soprattutto nell’era dell’intelligenza artificiale, si basano su tempi di reazione infinitesimali e non si tratta di scelte razionali di questo o quel trader…

Attualmente – dicono gli organizzatori dell’appuntamento sul dominio subacqueo – sono in servizio nei fondali del pianeta «oltre 1,48 milioni di chilometri di cavi sottomarini»: l’equivalente di «quasi quattro volte la distanza tra la Terra e la Luna». È un numero enorme ma destinato a diventare ancora più enorme: i cavi elettrici sottomarini sono un mercato «in forte espansione, con nuovi record nel numero di chilometri posati ogni anno». Un report di Spinergie indica che nel 2020 sono stati posati nel mondo 1.900 chilometri di cavi di potenza: per il 2028, cioè appena otto anni più tardi, «si prevede che ne saranno installati 18mila chilometri. Oltre nove volte tanto.

Nell’incontro romano è emerso che la crescita è trainata «sia dall’aumento del fabbisogno energetico globale» (che schizza all’insù anche per i grandi consumi derivanti dalla diffusione dell’intelligenza artificiale) «sia dall’espansione di fonti rinnovabili offshore» (che richiedono un numero sempre maggiore di cavi per convogliare a terra l’energia prodotta).

Ma le tecnologie di avanguardia generano anche una formidabile richiesta di nuove materie prime: in particolare, le “terre rare”, buona parte delle quali sono in mani cinesi. Risultato: c’è una grande spinta all’esplorazione di fondali oceanici per scoprire giacimenti minerari di materiali strategici, che sulla terraferma o scarseggiano o sono controllate da altri.

Tra i minerali più ricercati – si è sottolineato – figurano nichel, rame, cobalto, manganese, zinco, argento e oro: minerali “critici” indispensabili sia per la transizione digitale, ad esempio nella produzione di smartphone e laptop, sia per quella energetica, come nella realizzazione di turbine eoliche e veicoli elettrici. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie) da qui al 2040 il mondo avrà «bisogno del doppio di questi metalli rispetto a oggi per raggiungere gli obiettivi di transizione energetica».  A questi andrebbero aggiunte le “terre rare” propriamente dette: scandio e ittrio più i 15 lantanoidi (lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio e lutezio). Anch’esse indispensabili per buona parte di prodotti ad alto tasso di tecnologia avanzata: come superconduttori e magneti, come parti di veicolo ibridi o laser, come catalizzatori e alliganti in varie leghe metalliche, come fibre ottiche e catalizzatori, solo per citarne alcune.

Queste le parole di  Paolo d’Amico, presidente del Registro Italiano Navale: «L’ “underwater” non è più un ambito di nicchia ma uno spazio strategico in cui si concentrano alcune delle sfide tecnologiche più avanzate del nostro tempo. Le profondità marine stanno diventando un ambiente competitivo dove si gioca una parte fondamentale dell’innovazione. Investire nelle tecnologie subacquee significa stimolare nuove competenze, favorire la crescita di filiere industriali e assicurare al Paese un ruolo di rilievo nel panorama internazionale dei prossimi decenni».

Ugo Salerno, presidente esecutivo di Rina, la pensa così sul dominio subacqueo: «È una delle nuove frontiere strategiche del nostro tempo: un dominio in cui tecnologia, sicurezza e conoscenza dell’ambiente marino assumono un ruolo decisivo. Oggi la sicurezza di un Paese è sempre più dipendente dalle sue connessioni sottomarine: praticamente la totalità delle informazioni scorre sotto il mare e questo impone ai Paesi e alle aziende del settore di sviluppare sistemi adeguati a monitorare e proteggere i cavi per prevenire possibili attacchi. Presidiare ciò che accade sotto la superficie significa proteggere infrastrutture critiche, garantire l’affidabilità delle reti globali e sviluppare nuove opportunità industriali e scientifiche capaci di rafforzare la competitività del Paese in un contesto internazionale in continua evoluzione».

A “Lo sviluppo delle attività e delle installazioni subacquee”, moderato da Roberta Amoruso (giornalista del “Messaggero”), hanno preso parte, in qualità di relatori, Paolo d’Amico (presidente del Registro Italiano Navale), Lucio Caracciolo (direttore di “Limes”), Enrico Colantoni (responsabile programmi navali e underwater di “Elettronica”), Carlo Luzzatto (amministratore delegato e direttore generale di Rina), Francesco Milazzo (capo del 5° Reparto sommergibili e Dimensione subacquea dello stato maggiore della Marina), Alessandro Puliti (amministratore delegato e direttore generale di Saipem), Pierpaolo Ribuffo (capo del Dipartimento per le politiche del mare della Presidenza del consiglio dei ministri), Francesco Salerni (direttore settore strategia, digitale e sostenibilità di Terna) e Ugo Salerno (presidente esecutivo di Rina).

Questo evento – viene fatto rilevare – fa parte di una serie di incontri organizzati dal Registro Italiano Navale in occasione del proprio consiglio di indirizzo. Gli incontri, che hanno l’obiettivo di stimolare un confronto approfondito su argomenti di interesse per il futuro delle imprese e della società in Italia e nel mondo, proseguiranno anche l’anno prossimo.

Pubblicato il
26 Novembre 2025

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