Authorities: sono solo parassiti?
Da Pier Luigi Penzo, ex dirigente di Autorità Portuale, riceviamo.
MESTRE – Come noto la legge 84/94 ha riformato la portualità italiana prevedendo la fine dei monopoli rappresentati dagli enti e dalle compagnie portuali e posto fine agli onerosissimi ripianamenti a piè di lista dei debiti provocati da tali soggetti. Ha quindi creato le Autorità Portuali quale strumento operativo per il raggiungimento degli obiettivi volti a portare i nostri scali, favoriti dalla posizione geografica, ad essere competitivi e concorrenziali oltre che economici, in linea con i grandi porti del Nord Europa.
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Con la logica della legge e con le circolari applicative dell’allora responsabile del lavoro portuale dottor Giurgola che privilegiavano le “realtà esistenti”, si potevano e dovevano creare le condizioni ottimali per un salto di qualità delle ex compagnie portuali; le Autorità Portuali avevano il compito di favorire la loro evoluzione a imprese terminaliste, con l’obiettivo di esercitare un qualificante ruolo imprenditoriale.
Come dimostrano le specifiche esperienze, tale capacità è mancata totalmente a questi soggetti per cui, andando contro la volontà del legislatore, si è ritornati alla logica monopolistica forzando lo spirito originale dell’art. 17 della legge medesima, tanto che oggi tutti gli sforzi sembrano essere fatti per tutelare le nuove compagnie portuali piuttosto che per dare reali prospettive ai porti e quindi ai loro lavoratori.
Fin dal 1984, inizio delle molto onerose leggi degli esodi agevolati, tutti avevano capito che bisognava cambiare, ricordo ad esempio che a Venezia i massimi rappresentanti del PCI e della CGIL spingevano i lavoratori a fare la scelta del pre pensionamento perché era previsto e necessario un rapido e radicale cambiamento, poi espresso nel 1989 dai decreti Prandini e nel 1994 dalla legge 84/94.
Le Autorità Portuali non hanno saputo e/o voluto applicare la legge 84/94, in particolare a Genova dove si è legalizzata una situazione anomala; si è dato corso a quello che mi sono permesso di definire in passato “patto scellerato” che ha previsto l’uso esclusivo dei lavoratori dell’art.17 nelle operazioni portuali, un costo contenuto dei portuali e canoni di concessione ridotti per le imprese terminaliste, tale esempio negativo, in contrasto con la legge vigente, si cerca di estenderlo a tutta la portualità italiana.
La situazione genovese aveva portato danno a quel porto perché i terminalisti hanno disatteso quanto previsto dall’art. 18 c. 6, cioè fare investimenti ed avere un organico di lavoratori rapportato al programma di attività, rinunciando così al ruolo principale dell’imprenditore che è quello di accettare il rischio di impresa che passa attraverso lo sviluppo della competitività, dei traffici e dei ricavi. A quanto leggo oggi la situazione a Genova è molto cambiata, le imprese hanno adeguato i propri organici e la compagnia è rimasta con il cerino acceso in mano, mentre avrebbe potuto e dovuto pretendere che le imprese adeguassero gli organici attraverso l’assunzione di propri lavoratori.
Di seguito riporto una mia personale esperienza; nel settembre 1996 dissi ai vertici dell’Autorità Portuale che non dovevano viziare la compagnia portuale, che aveva avuto in concessione il terminal Molo A (poi TIV), perché avrebbero rovinato la compagnia, la loro personale immagine e quindi il porto.
Ho minato il rapporto fiduciario ma avevo ragione: quattro anni dopo nel 2000 la compagnia ha venduto il TIV per evitare il fallimento. Al riguardo è interessante riportare l’intervista di Patrizia Lupi sulla rivista Porto Nuovo n. 14 del 31 luglio 2005 al vice sindaco di Venezia onorevole Michele Vianello, ex PCI allora DS: “L’interesse dell’onorevole Vianello per il porto di Venezia è datato almeno 1994 quando, all’indomani della riforma portuale, si prefiguravano scenari che rilanciassero l’economia portuale lagunare, con la Compagnia Portuale protagonista, in considerazione anche della sua presenza storica, a gestire attività importanti, trasformata in soggetto imprenditoriale e non solo prestatore di manodopera… Il porto di Venezia inoltre ha beneficiato di ingenti finanziamenti quali la legge speciale per Venezia con venti miliardi destinati al Molo A: una grande opportunità per i lavoratori portuali che non hanno saputo godere di questa risorsa, anzi, hanno eroso tutto il loro capitale con l’unico obiettivo di andare in pensione e pagarsi la liquidazione senza pensare al futuro”.
Mi permetto quindi di suggerire al legislatore ed al ministero di tornare allo spirito ed alla lettera della legge 84/94, pretendendo dalle Autorità Portuali e dalle Autorità marittime la sua applicazione integrale, riportando l’art. 17 alla dimensione originale di tre quarti di pagina e non tre pagine intere come è diventato oggi, cioè l’articolo più lungo della legge e riguardante figure che dovevano essere superate.
In conclusione le nuove Autorità Portuali devono essere soggetti preparati, autorevoli (non autoritarie) per conoscenza, competenza, professionalità, che sappiano dare applicazione ai vari aspetti qualificanti della legge. Devono essere anche enti economici perché, come dice Moscherini, “Le Autorità portuali così come sono non servono a niente, anzi sono pressoché parassitarie; che pretendano di aver soldi dallo Stato per funzionare è qualcosa di ridicolo, anzi è scandaloso. Niente più Autorità di porto ma Autorità di sistema logistico. Poche, non più di una mezza dozzina, strettamente responsabili anche degli sviluppi dei collegamenti stradali e ferroviari e capaci di produrre ricchezza per il territorio”.
Pier Luigi Penzo
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