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Come fotografare dal cielo con i droni made in Livorno

Una piccola azienda che sta decollando anche sul piano tecnologico – “Macchine volanti” con quattro, sei o otto eliche in grado di svolgere missioni in automatico – I costi

LIVORNO – Sganciano bombe autoguidate, spiano le posizioni nemiche volando in modo pressoché invisibile sopra di loro, entrano dalle finestre per scovare un singolo cecchino, e alcuni sono in grado di dare la caccia ai sottomarini immersi: sono i più moderni ritrovati della tecnologia militare, i droni. L’uomo che li guida è lontano, al sicuro: e sempre più spesso si guidano da soli. Per i paesi più evoluti, stanno sostituendo progressivamente il tradizionale incursore umano perché sono più efficienti e anche più “spendibili” sul piano dell’immagine. Le stesse forze armate italiane hanno ammesso recentemente di aver acquistato sei droni, ma di averne già perduti due “in action”. E non ci sono stati né funerali, né bare con il picchetto d’onore.
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Come sempre, la tecnologia più sofisticata parte dalle applicazioni militari, dove i costi non sono un problema, ma poi approda anche al campo civile. E in campo civile, spesso più della spinta tecnologica o commerciale c’è la passione ad aiutare il salto di qualità. E’ il caso di “Motofiera”, la piccola società livornese di Matteo Dini che è nata dalla passione per l’aeromodellismo e la robotica del titolare ed oggi costruisce sofisticati droni multirotori – anche con otto eliche – per usi sempre più differenziati. Nel suo laboratorio in via degli Arrotini a Livorno, Dini progetta, assembla, verifica, collauda: non ha ancora quarant’anni ma con questi strani aggeggi, a metà tra libellule e ragni meccanici, ha fatto alla grande l’ingresso in un mercato che è in espansione esponenziale. Basta andare su Google e il suo Drone.Point (con lo slogan: “Free as a bird”) non sfigura tra la dozzina di aziende italiane del comparto. Una curiosità: a confermare che gli equilibri elettronici del “cervello” di ogni drone sono estremamente sofisticati ed altrettanto delicati, sul sito c’è anche riportato lo status dei campi magnetici con i grafici della NOAA: e quando in rosso è evidenziato Storm (come nei giorni scorsi) ovvero tempeste magnetiche in atto, i droni fanno bene a restare a cuccia.
Dini parla con entusiasmo del suo lavoro: la richiesta dei suoi “multirotori” è in crescita esponenziale (“Da un anno non ho fatto un giorno di vacanza – dice con orgoglio – spesso tiro la nottata”) perché anche in Italia, sebbene in ritardo, si è scoperto che questi aggeggi sono eccezionali per la fotografia aerea, per la ricerca idrogeologica, per filmare in movimento avvenimenti e siti (anche la Ferrari gli ha ordinato alcuni di questi robot volanti per monitorare le prove in circuito), persino per “sganciare” di precisione piccoli rilevatori sul terreno. Limiti? Ovvio che ce ne siano: ma non tanto nella tecnologia progettuale e costruttiva, che si avvale di componentistica di alta qualità spesso orientale (e dove i progressi sono pressoché giornalieri) quanto nella maledetta burocrazia del nostro paese, specie in dogana: dove i pacchi con la componentistica qualche volta vengono fermati per giorni, se non di più, mentre altrove bastano poche ore per “liberare” il materiale proveniente dal Far East. E in questo campo, anche pochi giorni di ritardo possono segnare il confine tra l’esaudire una richiesta (sempre urgente) o essere battuti da concorrenti stranieri.
Problemi della burocrazia a parte, oggi un drone di Matteo Dini e della sua Drone.Point “Motofiera” è in grado di soddisfare le esigenze più disparate. E ovviamente ci sono molti modelli: dal “quasi” giocattolo a quattro eliche e 40 centimetri di diametro, alla sofisticata piattaforma a otto eliche, larga e lunga come una scrivania e in grado di portare in cielo un carico di oltre 10 kg, ovvero la più completa delle cineprese o delle macchine fotografiche per rilievi del terreno. Il supporto alla fotografia professionale – per enti, istituzioni, beni culturali, università, professionisti – è al momento il core business, ma gli utilizzi crescono con la crescita delle capacità dei “cervelli” dalla guida. Oggi un drone del Dini riesce a volare in pochi secondi fino a 600 metri di altezza (ma si autolimita ai 100 metri in rispetto delle normative Enac per gli aeromodelli), può essere guidato da terra con un I-phone o un tablet qualsiasi, ha sistemi di sicurezza per cui si autostabilizza in caso di avaria a un’elica e atterra con dolcezza senza sfasciarsi. Chi lo guida da terra “vede” sul proprio schermo di comando quello che il drone “vede” dall’alto. Possono essere programmate missioni anche di autoguida, grazie al Gps e alla memoria predisposta. Le normative in Italia sono, al solito, in ritardo e valgono quelle degli aereomodelli: niente voli sugli aeroporti e sui siti militari, registrazione e poco altro. In compenso c’è un mondo di possibilità aperto anche per le aziende, i porti, le compagnie di navigazione, gli enti di controllo. E i costi ormai sono tali che per certi modelli – e non si tratta di giocattoli – non si supera il prezzo di un piccolo scooter da città. Insomma: un salto nel futuro che è già presente costa meno del noleggio di un elicottero commerciale per mezza giornata. Può interessare a qualcuno?
A.F.

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Pubblicato il
9 Ottobre 2013

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