(di Antonio Fulvi)
(15 euro)
Sulla battaglia navale di Lepanto, combattuta a inizio ottobre del 1568 tra la flotta cristiana e quella turca nel braccio di mare a Est di Cefalonia, ci sono stati nei secoli resoconti di entrambe le parti, ricostruzioni iconografiche, quadri di grandi autori e saggi storici. Sembrava difficile poter scrivere qualcosa di più e di nuovo. C’è riuscito con un impegnativo volume di circa 800 pagine il professor Alessandro Barbero, docente di storia medievale all’Università di Vercelli e già autore di numerosi studi storici, tra i quali un premio Strega del 1996.
Dei 32 capitoli che dividono la mastodontica opera del Barbero, non più di un paio sono dedicati alla battaglia, con la consueta esattezza dei dettagli e una rigorosa citazione delle fonti. Ma se delle varie fasi della sonora sconfitta dei turchi si sapeva già molto, l’autore ci aiuta a capire meglio che la folgorante vittoria delle flotte cristiane non è stata poi così miracolosa come si disse, in quanto la supposta superiorità numerica dei turchi era invece una netta inferiorità sia di galere, sia di combattenti che specialmente di armamento moderno. I turchi combatterono ancora con poche artiglierie, con archi e frecce invece che con gli archibugi usati dai cristiani, e con equipaggi decimati dalla peste. Alcuni dei comandanti saraceni poi, come il famoso pirata Uluc Alì (rinnegato calabrese già celebre per la sua audacia) se la videro con il giovane Gian Andrea Doria (nipote del celebre Andrea) che fu abilmente giocato sia alla tattica che nella strategia. Tanto che Uluc Alì fu tra pochi turchi a far preda e a fuggirsene dal massacro.
Il cuore del libro è dedicato invece alla faticosa nascita della coalizione cristiana, voluta dal papa malgrado i reciproci sospetti tra spagnoli, veneziani e genovesi; alla complicata serie di accordi, tutti con segreti codicilli che rischiarono più volte di mandare all’aria la coalizione, di levate di scudi di comandanti irascibili questioni etichetta, e infine sulla visione degli avvenimenti dall’altra parte della barricata, la Sublime Porta del sultano Selim. Descritto come un ubriacone obeso e crapulone, ma capace di aver ideato e vinto la battaglia per riconquistare ai turchi l’isolati Cipro (con il noto martirio di Marcantonio Bragadin, scuoiato vivo dopo il saccheggio di Famagosta dei turchi) e di aver ricostruito miracolosamente in sei mesi la flotta distrutta a Lepanto. Che in sostanza – è la conclusione di Barbero – è stata una gloriosa occasione perduta per a cristianità.